Con un tempismo decisamente poco fortunato, ed una proposta migliorabile, arrivano al debutto i Down Within, ennesimo rifornimento per il lanciato, e fuori giri, motore metalcore. La formula scelta dai quattro giovanissimi britannici, per il loro sbarco sule scene, è quella di un EP piuttosto contenuto sia nella durata che nei contenuti espressi.
Gli ingredienti, neanche a dirlo, sono quelli tipici dell’odiatissimo genere del momento da cui, i nostri, non fanno nulla per distaccarsi. Allora pronti-via e si gira con sei brani già ascoltati centinaia di volte altrove e qui, per diversi motivi, condannati dalla resa non ancora perfetta. La struttura delle composizioni, per quanto abbastanza dinamica, poggia solidamente sulla confezionata alternanza tra frangenti melodici ed altri più aggressivi. Isolando qualche riuscito ed accattivante ritornello, il risultato appare tutt’altro che irresistibile a causa di un songwriting acerbo e caratterizzato da un’integrazione ancora da smussare. Nonostante una discreta varietà, il problema fondamentale delle composizioni dei cinque musicisti inglesi è individuabile in un’identità non solo derivativa ma, anche e soprattutto, imprecisata. Un disco che in soli venti minuti cita, senza eleganza nè un’omogeneità tangibile, Killswitch Engage, Papa Roach, passi a caso da swedish ed alternative rock, è quanto meno sintomatico di una mano disorientata ed indecisa. Se al quadro illustrato si aggiunge un approccio vocale, incapace di reggere ai cambi di registro, allora i dubbi legati alla convivenza di influenze incontrollate divengono certezza di trovarsi al cospetto di qualcosa di poco riuscito. L’ingenuità e la letale assenza anche della scorrevolezza “di genere” affondano un disco, sempre e comunque, sotto tono e non memorabile.