Nell’anno bastardi 392, l’Imperatore Teodosio dichiara guerra al mondo Pagano. Attraverso i decreti, il fuoco avvolge ciò che rimane dell’antico culto, e le fiamme allungano l’ombra della croce e sotto di essa ogni resistenza annega nel sangue… Solo pochi uomini osarono sfidare la potenza della Chiesa, e questa è la loro storia…
Questo è quanto attende gli ascoltatori del secondo album dei nostrani Draugr, quintetto originario di Chieti e qui arrivati alla seconda fatica discografica con un prodotto di altissimo livello, uno dei migliori lavori in campo metal italiano nel 2011.
Draugr, nome che deriva pari pari dall’immaginario Tolkeniano e sta ad indicare il lupo (che guarda caso è anche il simbolo dell’Abuzzo), è il nome che meglio di molti altri può rispecchiare ciò che i nostri vanno proponendo: un sound complesso, vivo e dinamico che mixa il Death, il Black, il Folk in un calderone di musica speciale, ricco di arrangiamenti azzeccati ed oculati, mai ridondanti ma mai nemmeno lasciati al caso solo per appesantire le song.
Dieci i brani proposti, cantati in inglese, ma soprattutto in italiano e in lingua arcaica, che narrano le gesta di un gruppo di guerrieri che, solitari ed impavidi, combattono contro Roma e la Chiesa per la difesa dell’antico culto pagano in via di estinzione.
Si parte con la song più aggressiva e Black di tutto il lavoro, quella “The Vitulean Empire” che in realtà colpisce subito nel segno con le sonorità decise e concrete, cattive al punto giusto, ma in realtà servirà soprattutto a far maggiormente apprezzare lo splendido cantato in italiano delle song successive. Ottimi, come in tutto il lavoro, gli effetti sonori, che si rincorrono nei tratti meno impetuosi tra legioni in marcia, cavalli imbizzarriti e colpi di spada, che rendono meglio l’idea di ciò che si sta narrando nella song. Inizio deciso ma che ha anche una matrice orecchiabile che lo rende piacevole e facilmente memorizzabile.
La cura del songwriting si capisce subito nella successiva “L’Augure e il Lupo”, quando reale paganesimo e perfetta immedesimazione nei personaggi vengono fuori tra le righe di una song giocata tra screaming acuto e narrato epico parlato, tra doppiacassa imperante e rif intriganti… “il vento bisbiglia parole e sentenze, la voce degli dei!” è quanto ci dicono i nostrani barbari, seguito da “ade mi ha spesso reclamato, ma mai catturato, in terre lontane un nome mi hanno dato, di una creatura invita con forza di legioni, Draugr!”… un verso che è allo stesso tempo una missione e la perfetta descrizione di quanto si sta iniziando a raccontare. Brano epico e ricchissimo di arrangiamenti e giochi di strumenti a fiato (nell’album si rincorrono quali ospiti agli strumenti a fiato anche Lore e Maurizio dei Folkstone).
Latino, lingue perdute, italiano caratterizzano Suovetaurilia, song giocata tra velocità da ballo e pogo estremo e stop narrativi, growl e scream intrecciati da un singer realemente in grandissima foma e dotato di teatralità e ugola di gran classe.
“Ver Sacrum” prosegue con un songwriting assolutamente coerente, ma è caratterizzata da un andamento più puramente folk, con cori sostenuti da fisarmonica e strumenti a fiato tradizionali, con ritmo ripetuto all’infinito, interotto quà e là da profonde cadute nel vortice della velocità, in un brano che non può non trascinare.
Death metal è quello che ci aspetta invece per “Legio Linteata”, in cui la presenza dei già citati Folkstone rende il sound molto simile a quello della band bergamasca, in un connubio tra gruppi folk metal italici che dovrebbe essere preso d’esempio. Bellissimo brano aggressivo e in cui il drumming si fa forsennato e precisissimo tra continui stop and go.
“Ballata d’Autunno” è invece un breve spezzone puramente musicale incredibilmente emozionante, in cui sembra di scorgere realmente le foglie che cadono e la tristezza di un mondo che va a finire per lasciare spazio ad uno nuovo, non per forza migliore.
Commozione e rabbia si mescolano per lo stesso motivo nella successiva “Inverno”, in cui gli inserti folk non si notano per lasciare il palco al death, con le linee vocali uniche grandi protagoniste di una prova egregia.
Ci si avvia verso l’inesorabile scontro finale, con i nostri che scivolano nelle cloache romane per penetrare a fondo nel cuore della città, e le song si fanno più puramente metal e oscure. Screaming e doppiacassa imperano sempre più e spaziano in lungo e in largo tra i brani, con le chitarre sempre a far da sfondo a testi curati e studiati nei minimi particolari.
“La storia ti ricorderà come l’ennesimo trofeo del Sacro Romano Impero” è amara ammissione nella bellissima “De Ferro Italico”, finale che lascia in sospeso il destino dei protagonisti, che giunti in città gridano “affonda nel cuor dell’eroe romano l’acciaio pagano, letale l’abbraccio fraterno agognato da tempo” ,”Per la nostra terra, per il nostro coraggiodalle macerie come dalle nubi, un raggio!”.
Insomma, un disco che merita di essere acquistato e ascoltato con attenzione, piccola gemma nella produzione heavy-meta italiana negli ultimi anni, simbolo di volontà, cultura, gusto e anche intraprendenza, splendido in ogni sua parte.