“extreme meNtAl pierciNg”: estremo, umano e meccanico. Questo il primo full-length dei DyNAbyte, gruppo formatosi nel ’98 e oggi guidato da John (al basso), LJ Dusk (alla chitarra) e Cadaveria (alla voce). Già dal monicker scelto dal gruppo emerge la passione per le contaminazioni, non solo sul piano musicale, ma anche concettuale. I DyNAbyte infatti cercano di portare avanti nella loro musica un’interessante dialettica tra uomo e macchina, nervi e cavi, cervello e software, in una lotta esplosiva ed intrigante. DyNAbyte, uno strano ibrido fra “dynamite”, “DNA” e “byte”, da cui la forza distruttrice, la matrice umana e l’unità di misura del computer. Da questo connubio ne è uscita una musica potente, coinvolgente e a tratti melodica. Uno degli organi più importanti che compongono questo sistema nervoso e muscolare è la voce camaleontica di Cadaveria, capace di adattarsi a qualsiasi metamorfosi sonora, e in grado di trasmettere alla perfezione tutti i successivi stati psichici toccati. Ma l’elemento più innovativo dei DyNAbyte è costituito dall’uso prepotente di loops e drum machine, che simulano tutte le pulsazioni che animano questo lavoro, avvicinandolo così a processi meccanici, propri delle macchine e allontanandolo in parte dalla condizione umana. L’alchimia raggiunta fra questi elementi, apparentemente così in disaccordo, fa trasparire simultaneamente la plasticità propria della tecnologia e l’allucinazione tipica di stati mentali di trapasso. Queste sperimentazioni, già provate a suo tempo da Rammstein e Fear Factory, e qua rese molto personali, hanno la capacità di creare storie caleidoscopiche, a metà fra sogno e realtà, dove l’unica certezza pare essere la continua mutevolezza della forma.
Fra i vertici più alti sono da citare, oltre alla futuristica cover di “immigrANt soNg” dei Led Zeppelin, la travolgente e ipnotica “I’ll rise” e la vorticosa e stereoscopica “fAce the storm”, con un inizio seducente che inganna sul procedere robotico, marziale della stessa, poi melodiosa esclusivamente nel ritornello. Ancora manca qualche affinamento, non tutti i brani riescono a incantare nello stesso modo, ma i risultati sono già molto curiosi e piacevoli, soprattutto considerando l’originalità di un cocktail difficilmente provato nel campo del metal. Un lavoro che proietta in dimensioni sospese e futuristiche.
Non una semplice introduzione dell’elettronica quindi, ma uno scontro diretto fra modernità e tradizione in un risultato allucinogeno e distruttivo.