Stavolta devo essere sincero: nel mio girovagare metallico alla consueta ricerca di news, notizie e curiosità circa le mie band preferite e quelle che potrebbero diventarlo ero incappato in alcune discussioni su questo gruppo austriaco, al terzo album in carriera e dal nome molto “Sonata Artica”. Avevo letto di tutto, ed ho capito perchè il mondo della musica, e del metal soprattutto, è bello: perchè è vario e lascia spazio a tutti i tipi di giudizio (sempre sperando che dietro un giudizio non ci sia un… pregiudizio o peggio altri interessi). Così ho colto la palla al balzo e mi sono avvicinato a questo album con l’animo aperto a qualunque giudizio. Ora posso darvi il mio: è un bell’album davvero questo Impetus.Per prima cosa è bello perchè è tutto fuorchè statico. Se ne frega della sua etichetta, questo gruppo, e spazia dal power al classic al gotic, con dieci brani che si lasciano ascoltare, anche più volte, e donano sempre una piacevolissima sensazione di bella musica, fatta con il cuore certo ma anche con gli strumenti: codificato il tutto significa che ognuno dei sette componenti sa il fatto suo tecnicamente. Il risultato sono brani assolutamente vari e complessi. La voce femminile pulita e altisonante interviene quà e là a dare spruzzate gotiche appunto, e a interrompere con la sua flemma divina l’incedere deciso dei brani. “My Paradise” è un ottimo esempio di quanto appena enunciato: brano puramente classico con, qui ma in tutto l’album, un incredibile lavoro di Roman Klomfar,reale protagonista di ogni pezzo con un drumming di altissimo livello, accenni di doppiacassa e velocità unita a precisione.
In generale però, è la musica a uscire vincitrice in questo disco, poichè dopo il già citato brano inaugurale anche le successive song sciorinano una prestazione maiuscola, con una produzione attenta (ma dalla Frontiers ormai ci attendiamo sempre ottimi lavori sotto questo punto di vista), con brani quali “Carry On” o la splendida “Twilight Hall” a misurare la solidità di questa band, che risponde in modo egregio. Unico neo? Bhè, se proprio si vuole trovare qualcosa che non va allora si può segnalare un finale di disco un po’ meno brioso e vivo… Forse le migliori idee sono andate a concentrarsi nella prima parte. Non che il finale, con la lunga (quasi nove minuti) “Black Swan” e “Jester In The Ballroom” sia particolarmente brutto anzi, però sembra mancare un po’ di quella carica e di quell’energia così evidenti nei primi 7-8- brani, con il gruppo che ripropone un po’ quanto già mostrato in precedenza. Peccato veniale che si può certo perdonare a chi in ogni caso ci dona tre quarti d’ora di ottimo Heavy Metal.