La musica, come ogni arte che possa definirsi tale, ha dei tempi di maturazione che variano a seconda di chi la esercita. Andare contro quella che dovrebbe essere una
naturale evoluzione è spesso causa dell’insabbiamento di doti che, seppur tangibili, vengono offuscate da inevitabili ripetitività ed autocitazioni. E’ questo il caso degli Ektomorf che, dopo i meritati plausi raccolti con il precedente “Destroy”, dopo neanche un anno si ripresentano al pubblico con un nuovo album che ha il piccolo grande difetto di riproporre troppo di quanto già detto dal suo predecessore. Per quanto si possa
convenire sul fatto che un artista non può prescindere dal proprio stile resta un dato di fatto l’improduttività che ha lanciare a distanza di neanche dodici mesi, due lavori così simili tra loro. E’ innegabile che “Instinct” sia un album alquanto godibile e che fa il proprio lavoro senza pecche che ne intacchino la qualità, ma le ragioni sopra citate unite ad una leggera vena di monotonia propria del genere proposto nel disco non consentono di darne un giudizio granchè esaltante.
Come già intuito il sound della formazione ungherese non ha subito grandi evoluzioni rispetto all’album che ha segnato il loro ingresso alla scuderia Nuclear Blast. La proposta continua ad assestarsi su una miscela di thrash ed hardcore farcita da melodie “gitane” chiaramente ispirate alle origini dei componenti della band. Le influenze di Soulfly e Sepultura fanno parte del DNA dei quattro che non fanno molto per scollarsi di dosso scomodi paragoni; così come il growl di Zoltàn Farkas fa spesso e volentieri eco a quello di Cavalera, il guitar work ed alcuni arrangiamenti pagano dazio alle sue seminali band suddette. Per quanto gli Ektomorf siano abili a sfoggiare riff molto più violenti, piacevoli e diretti di quanto non riescano a fare attualmente i loro colleghi brasiliani sono ancora lontani dal riuscire ad emergere dal pentolone di band estreme attualmente in circolazione.
Dove c’è la stoffa, però, tutto è possibile e se i quattro giovani ungheresi riusciranno a creare uno stile realmente personale unendo alla potenza dimostrata sino ad ora una maggiore dose d’influssi e melodie Rom, si andranno densamente a colmare quei buchi di personalità che tanto gravano sulla band. La strada giusta è, dunque, quella degli
intermezzi acustici folk e dei canti gitani solcata da brani come “The Holy Noise” o “United Nation”, che non a caso risultano i migliori del lotto.
Se gli Ektomorf riusciranno a lavorare al successore di “Instinct” senza che la propria vena creativa venga ostruita da pressioni esterne dando alla luce qualcosa che prescinda
da un ordinario e violento thrashcore allora vorrà dire che “Destroy” non sarà stato un episodio isolato. Un lavoro appena sufficiente che punta sull’ordinarietà e sulla
monotonia non è quello che ci si aspetta da un artista; non era quello che ci si aspettava dagli Ektomorf.