Gli Eldritch hanno trovato la formula e, a quanto pare, non sembrano intenzionati a privarsene. Dall’ormai lontano ‘Portrait Of The Abyss Within’, la brava band toscana ha centrato quell’equilibrio che molti gli imputavano come carenza, piazzando album centrati, quadrati e solidi, oltre che caratterizzati dalla solita perizia tecnica. E, siccome squadra che vince non si cambia, la ricetta, con qualche accorgimento, viene riproposta con risultati tutt’altro che trascurabili anche in questo nuovo ‘Blackenday’.
Ancora una buona prova, dunque, per il combo guidato dallo storico axe-man Eugene Simone che, con la solita ispirazione, guida dei compagni con cui l’affiatamento è ormai disarmante. E’ così che, stavolta, è la prova corale a crescere per una formazione che, in toto, registra sempre più la via di mezzo tra le nuove partiture thrash ed il progressive degli esordi. L’immagine dell’apice di bilanciamento raggiunto è fornito da dodici brani maledettamente piacevoli in cui spicca un’attenzione particolare verso elementi “estetici” come il particolare che si ricorda o dei bei ritornelli più curati che mai. In questo quadro ad emergere è la prova di un Terence Holler che migliora di album in album affinando il proprio stile e rendendolo sempre più inattaccabile. Buono nelle strofe aggressive, ottimo nei refrain e nei ritornelli che ci si ritrova a canticchiare dopo pochissimi ascolti grazie al solito gusto per la melodia che qui risulta oggetto di particolari attenzioni. Impossibile non far caso ed amare brani come “Black Rain”, l’opener o la bellissima “The Dead Sleep” immagine dell’attuale sound degli Eldritch. Un songwriting come sempre vario, dinamico e tecnico che, con eleganza fuori dal comune, modera l’eredità cattiva del thrash con un atteggiamento che tende a renderlo particolarmente fascinoso. La solita storia, insomma, per una band che è ormai una vera garanzia e non tradisce le attese di chi conta sul suo operato, con il suo classico album regolare e godibile.
Il classico (poco riuscito) episodio zuccheroso, in questo caso rappresentato dai molli arpeggi di ‘Broken Road’, non riesce ad intaccare un disco bello (nel senso stretto del termine) per cui la qualità generale appare inconfutabilmente alta. Gli Eldritch sono riusciti ancora una volta a dare un senso ad uno stile che, in mano ad altri, sarebbe incorso in facilissime ripetitività con un passato qui, invece, domato ed utilizzato a proprio favore. Onore e merito.