Posso dire con molto orgoglio di seguire gli Elvenking fin dai primissimi passi grazie ad un MP3 trovato su Internet prima, all’acquisto del demo “To Oak Woods Bestowed” dopo e infine con il loro debut album “Heathenreel”, che li ha portati a farsi un nome sulla scena italiana ed europea.
Ora è la volta di “Wyrd”, disco che ero davvero curioso di ascoltare, anche in seguito al cambio di line-up che ha visto avvicendarsi dietro al microfono il nuovo arrivato Kleid, in sostituzione del dipartente Damnagoras. Secondo motivo di curiostà per questo nuovo loro lavoro era inoltre il fatto che Martin Walkyier in persona (per chi non lo sapesse, la ex-colonna dei grandissimi e immeritatamente poco conosciuti Skyclad) ha collaborato alla realizzazione del disco, quanto meno dal lato delle liriche in virtù del suo essere ottimo paroliere.
Il risultato? Anche se forse il voto assegnato non dà abbastanza risalto a quanto penso di questo album, il lavoro svolto da questi ragazzi è assolutamente favoloso, e ne è riprova il fatto che questo disco continua e ricontinua a girare nel mio lettore.
Innanzitutto vorrei spendere due parole sul nuovo arrivato, Kleid, che non fa per nulla rimpiangere la mancanza di Damnagoras, ma anzi migliora tutte le linee vocali, che risultano essere ora molto meno strozzate e forzate rispetto a quanto succedeva prima, e lo fa mantenendo un timbro comunque sulla linea di quello del suo predecessore. Posso dire con certezza quindi che le canzoni del lavoro predente non subiranno stravolgimento alcuno in sede di concerto e questo va a merito dell’ottima scelta fatta dagli altri membri del gruppo.
Da un punto di vista più d’insieme il disco risulta essere, in confronto ad “Heathnreel”, più omogeneo nella qualità, più compatto nei suoni e (purtroppo) un po’ più power-oriented, soprattutto dal lato batteria. Questa è infatti il (solo) punto dolente del disco, dato che alle volte è eccessivamente pestata e ci sono inserti di doppia cassa a tutta velocità, anche quando non necessari, appiattendo un po’ la varietà delle canzoni. Ma tutto ciò, come accennato, è davvero l’unico difetto che mi sento di imputare a questo disco, che contiene invece numerosi spunti positivi.
Si passa dall’energia e forza di “Pathfinder” e “Disappearing Sands”, caratterizzata da un riff chitarra/violino assolutamente graffiante, alla melodia più tipicamente folk di “The Silk Dilemma” e “The Perpetual Knot”. Flauti, violini e chitarre possono funzionare perfettamente assieme, come insegna il buon Martin, e gli Elvenking fanno tesoro di questa lezione e la ripetono in maniera personale e mai banale, permettendosi anche di autocitarsi in un simpatico cameo presente in “A Fiery Stride” (lascio a voi il compito di trovarlo). Ma i nostri non vogliono farci dimenticare anche l’influenza power che scorre nelle loro vene e, se per caso lo avessimo fatto, l’assolo assolutamente helloweeniano presente nella lunga e conclusiva, nonchè stupenda, “A Poem For Tthe Firmament” ci aiuterà a ricordarlo. Così come l’alternarsi di voce pulita e growl, le armonizzazioni più che azzecate e i numerosi strumenti presenti, ci fanno chiaramente capire che gli Elvenking vogliono distaccarsi dal resto della scena melodica, troppo spesso vittima di sè stessa e della ripetizione della solita formuletta.
Un disco, nel suo insieme, a metà strada fra il power e il folk metal, unendo chitarre distorte, violini e flauti. Un disco ben riuscito e un’ulteriore conferma che si può fare qualcosa di melodico senza essere per forza banali.
Insomma, un disco da avere.