“Nihilistic Contentment”: quinto disco degli Exmortem ed emblema pressochè perfetto della loro lunga e rispettabile carriera caratterizzata da attitudine, rispettabilità ma un’assoluta assenza di sussulti degni di memoria. E’ così che, pur con i suoi molteplici punti a favore, la tracklist di quest’ultimo lavoro sembra ripercorrere le orme storiche di una band che, per pigrizia, per limiti o per scelta, sembra ormai destinata alla sufficienza di episodi discografici appena onesti.
A fungere da prova materiale della veridicità della premessa dieci brani di classico e violento death metal senza compromessi. Sonorità veloci fino a sconfinare in tempi grind, compatte ed aggressive che non lasciano spazio a variazioni o melodie degne di portare questo nome. Supportati da una tecnica sopraffina i cinque puntano, dunque, su atmosfere cupe, avvolgenti ed esageratamente insistenti che pur non essendo caratterizzate da particolari nei tecnici risultano troppo ricorsive e non eccellenti per ispirazione. Isolati singolarmente, gli episodi risultano alquanto soddisfacenti grazie alla loro capacità di colpire l’ascoltatore con violenza per merito di un dinamismo interno sia a livello ritmico che di riffing. La godibile, anche se stranamente imperfetta, produzione dell’onnipresente Tue Madsen riesce a valorizzarne un potenziale offensivo forte ma poco ispirato nell’abitudine dei nostri a perseverare in un potente growl inespressivo e monolitico e in un songwriting acerbo nel suo voler apparire a tutti i costi marcio e “puro”. Un modus operandi restituente una band che, con la propria insistenza e con la propria incorruttibilità, è destinata a rimanere in un limbo di sufficienza personificato da una noia che impedisce un ascolto piacevole e ciclico dei brani. Un limbo autoindotto da un atteggiamento che spazientisce, irrita e fa perdere valore a dischi troppo simili tra loro e a sè stessi. Come volevasi dimostrare, la stessa, solita, invariabile storia di cui sopra in perfetta linea con una carriera che ha la sua croce e delizia nell’uso dei paraocchi musicali e compositivi, sì caratterizzanti, ma palesemente poco funzionali alla causa di farsi apprezzare in toto.