Comincio con una frase, o meglio una domanda, che forse avrei dovuto porre alla fine di questa recensione, ma voglio usarla per sottolineare un qualcosa che di anno in anno e di album in album siamo sempre qui a chiederci. Qual è il motivo per il quale gli Extrema non godono della giusta esposizione internazionale che meriterebbero, visto il ruolo indiscusso di assoluti protagonisti della scena metal italiana? La risposta si può dare in un solo modo, ovvero ponendone un’altra, cioè il chiedersi una spiegazione della scarsa considerazione che ha il nostro paese, rispetto al resto dell’Europa, per quanto riguarda la musica dura. Ma finché nessuno deciderà di togliere quelle fastidiose etichette che vengono appiccicate addosso a qualunque persona che “osa” ascoltare certe sonorità, non riusciremo mai a cavare neanche un ragno dal buco. C’è da far cadere le braccia ad analizzare questa situazione altamente penalizzante e frustrante, vista appunto la grandissima qualità, quantità e personalità di alcuni act nostrani che continueranno sicuramente in futuro a toglierci delle enormi soddisfazioni.
Questa premessa era altamente necessaria per introdurre un disco speciale e coinvolgente come davvero pochi altri hanno fatto nella prima metà di questo 2009, che fa salire ancor di più le quotazioni di una band da sempre simbolo e portabandiera del metallo bianco rosso e verde. “Pound For Pound” è qualcosa di unico, che arriva dopo un precedente capitolo in studio che ho considerato un po’ di transizione, seguito da un mastodontico dvd retrospettivo strapieno di materiali dal vivo e interviste per mettere il giusto punto esclamativo su una carriera pregna di soddisfazioni e praticamente nessun rimpianto. L’arrivo di Paolo Crimi dietro le pelli era stato annunciato un po’ in sordina, ben sapendo che il gioveane batterista necessitava dei giusti tempi per adattarsi e oliare i meccanismi della macchina-extrema, ed è infatti con questo nuovo dischetto che da sfogo a tutto il suo talento. E’ proprio lui infatti a spiccare su tutti, con un drumming potente, vario, precisissimo, complesso e coinvolgente, degno di accompagnare ritmicamente, assieme alle sfuriate al basso di un Mattia Bigi sempre sopra le righe, un assalto frontale come quello che ci viene posto all’ascolto dalle nuove tracce. Con queste ultime parole non voglio assolutamente sminuire il lavoro alla chitarra di un Tommy Massara che, dopo essersi preso il peso della responsabilità di unico guitar player degli Allhelluja con risultati stupefacenti, dimostra ancora una volta la sua abilità di inventore di riff stupendi. Stesso identico discorso per G.L. alla voce, si è già detto tutto nel corso degli anni di un frontman dal grande carisma, noto soprattutto per coinvolgere il pubblico dal vivo, oltre che artefice di prove in studio sempre all’insegna della concretezza.
Mai e poi mai avrei immaginato di dover tessere le lodi degli Extrema fino a questo punto. “Set The World On Fire” era un buon disco, non eccellente ma comunque apprezzabile. Non pensavo che il passo successivo sarebbe stato un pezzo da novanta come “Pound For Pound”. Sono felicissimo di poter (di nuovo) dire che ascoltando la musica dei nostri mi vengono in mente i Pantera. Dopo quello che considero il loro capolavoro, “The Positive Pressure (Of Injustice)”, ecco che lo spirito della fondamentale band texana aleggia nuovamente fra i solchi della tracce di un album della formazione meneghina. Qui però, rispetto al passato, c’è più personalità, ed ecco quindi che le diverse canzoni si tingono di sfumature diverse e più extremizzate, è proprio il caso di dirlo, essendo riconoscibili fin dal primo ascolto. Una prova di forza che non conosce cali di tensione, a parte forse nella parte centrale, dove un paio di pezzi sono leggermente meno incisivi, ma nel complesso si può davvero dire che non ci sono per nulla grossi cali di tensione.
Il momento più bello per chi scrive è di certo quello dove si analizzano le fasi più esaltanti di un full-length, ecco quindi l’obbligo di citarne gli episodi migliori. “For The Sake Of Our Children” è qualcosa di incredibile, si avvicina tantissimo ai Pantera più “eclettici” di “Far Beyond Driven” nelle strofe, molto complesse e volutamente “stiracchiate”, per poi scatenarsi in un thrash tipicamente old style nel refrain, come ben sanno fare i nostri. Micidiale, sul serio, l’uno-due delle prime due songs, ovvero “Anymore” e “Selfishness”, così coinvolgenti con il loro thrash metal denso di groove che le pone perfettamente all’altezza nel loro ruolo di apripista. Meritano menzione anche la violentissima “From The 80’s”, la quale lascia intendere la sua indole già dal titolo, e “My Misery”, che nella parte iniziale molto lenta e melodica ricorda molto gli Hell Yeah di Vinnie Paul, ma poi prende più ritmo e velocità col passare dei secondi. Non poteva mancare una cover, e stavolta la scelta è ricaduta su un pezzo non proprio adatto alle caratteristiche della band, ma che invece viene ben eseguito e il risultato finale non dispiace affatto. “Deuce” dei Kiss, ecco la prescelta, che non si discosta molto dalla versione originale ma non si può dire che non si inserisca bene nel contesto.
Credo che non si possa aggiungere nulla, l’ultima chicca la riservo per la produzione, nel fidato Studio 73 di Ravenna, ad opera del sempre bravissimo Riccardo Pasini, in perfetta sintonia con la musica del quartetto milanese.
Mi fermo qui, spero vi sia venuta la voglia, leggendo questa recensione di scoprire, se non l’avete ancora già fatto, una delle identità musicali più forti che ci siano in Italia, ma anche nel resto del mondo, che dopo anni e anni è ancora qui a regalarci delle gemme come questa.
Non temete quindi, a chi pensava il contrario posso finalmente dirlo, il fottuto massacro collettivo continua!