Chiunque abbia pensato di accostarsi al nuovo lavoro dei Fear Factory con i leggittimi sospetti di insoliti rinnovamenti, sorprese o colpi di coda suggeriti da un titolo come “Transgression” ritorni sui suoi passi perchè ne sarà completamente deluso, rispettando la tradizione che vuole i giudizi basati sulle etichette affrettati ed azzardati.
Rispettando la linea solcata dopo la dipartita con Dino Cazares, i Fear Factory si rispecchiano nella propria eterna identità musicale, rispettando per filo e per segno dei trademark che danno alla luce un disco i cui autori sono riconoscibili dal primo riff all’ultimo difetto di fabbrica. Undici tracce di thrash ansimante, strisciante ed avvolgente. Nessuna sperimentazione ed una forma canzone ciclica che, eccetto in qualche episodio, appare stabile e più solida che mai. Le due anime che da sempre caratterizzano il songwriting della band si intrecciano, si scontrano e si passano il testimone con una fluidità ed una naturalezza disarmante. A volte prevedibili, senza mai apparire gratuite o scontate, le clean vocals di Bell fanno capolinea sempre più spesso nei brani, in alcuni casi monopolizzandoli e restituendo espisodi di rock industriale come la gradevolissima “Supernova” che comunque non rende al disco il senso di stupore e trasgressione avanzato dal titolo.
Come per ogni episodio discografico esposto a riflettori e ad una conseguente varietà di giudizi anche su ‘Transgression’ si leggeranno divagazioni più dispoarate: inutile, facile, capolavoro…a ciascuno il suo: dalla loro i Fear Factory sembrano essere tornati senza intenti di meraviglia verso alcuni con un lavoro onesto e, per questo, obbligatoriamente da rispettare.