Natural. Born. Chaos. Sono i primi tre termini che saltano alla mente all’immediato ascolto di ‘Breeding A Divinity’, esordio congiunto di Fightcast e Kolony records.
Sarà che lo stile vocale di Filippo Tellerini strizza l’occhio, senza troppi veli, a quello del più famoso “Strid”; sarà che il “disco bianco” prodotto da Devin Townsend, per quel che se ne possa dire, ha estratto e messo in piazza quelli che sarebbero stati gli ingredienti del futuro metalcore; saranno autosuggestioni di un qualunque recensore ma le coincidenze musicali non sono mai casualità. Lasciando da parte ogni inutile, ripetitivo e scontato, discorso su un’originalità a dir poco latente, i nove brani che caratterizzano ‘Breeding A Divinity’ risultano ben concepiti, prodotti ed eseguiti in maniera brillante. I cinque ragazzi di Cesena sembrano coesi ed abili nel maneggiare i propri strumenti creando una proposta sempre compatta e piacevole. Idee di dubbia paternità sono fatte proprie e messe insieme in una proposta, sì poco sostanziosa, ma sempre coerente e, ciò che più conta, godibile. Un cristallino gusto per la melodia ed una musicalità che conquista alla “prima” risollevano più volte le sorti di un disco che senza, il suo dondolarsi tra melodie malinconiche e strofe vicine allo swedish più moderno, rischierebbe di apparire piatto come non mai. Regolarità, scorrevolezza apprezzabili, dunque, che possono passare alla prima uscita ma che non faranno mai di un lavoro qualcosa di resistente a tempo, mode e, ciò che più conta, ascolti. Da limbo.