24 Ottobre 2014 – Traffic Club, Roma

L’attesa per questa serata è evidente già al mio arrivo al Traffic, con un gran numero di gente nel locale già durante i gruppi spalla.

BUFFALO GRILLZ
Per il traffico romano mi perdo i Nugear, e arrivo in tempo per i Buffalo Grillz, nome noto della scena della capitale e del grind italiano. La band, nella mezz’ora a sua disposizione, colpisce con una violenza assoluta e continua, apprezzatissima dal pubblico, coinvolto per tutto l’arco della prestazione in un moshpit furioso.
Il simpatico cantante Enrico Giannone interagisce con il pubblico tra una canzone e l’altra e domina il palco con fare indemoniato, seguito dall’ottima prestazione del resto della band, Marco “Cinghio” Mastrobuono, alla chitarra (che negli Hour of Penance suona il basso), il gigante Luciano Gux Robibaro, che violenta il basso con la sua classica maschera rappresentante un teschio, e il nuovo batterista Maurizio Montagna, che non è l’ultimo arrivato, data la sua esperienza con numerosi gruppi della scena estrema romana.
La band propone un set composto per la maggior parte da brani dell’album Manzo Criminale, targato 2012, con qualche pezzo più recente, caratterizzati dall’estrema ironia e simpatia nei titoli. Ricordiamo i classici Forrest Grind, DImmu Burger, Grind Raccordo Anulare, la bellissima Canzone del Sale e, in chiusura, New World Disagium. Prova che lascia assolutamente soddisfatto il numeroso e caloroso pubblico anche grazie a dei buoni suoni che rendono più o meno comprensibile il tutto.

HOUR OF PENANCE
Gli Hour Of Penance hanno raggunto un successo planetario nella scena death metal, con tour intercontinentali nei quali hanno supportato le più grandi band internazionali, come i Cannibal Corpse, ma, inspiegabilmente, a casa loro, Roma, non hanno mai avuto il successo meritato. La band, capitanata da Gilio Moschini, alla chitarra, fresca del nuovo lavoro Regicide, parte all’attacco con Seditious Through Scorn, ottima opener tratta dal precedente Sedition e continuano con la nuova Theogony. I suoni non sono ottimi, specialmente le chitarre sono impastate, situazione che non migliorerà particolarmente in tutto il corso della serata. L’interazione tra band e pubblico è poca cosa, limitata a poche parole del cantante/chitarrista Paolo Pieri. Alla batteria James Payne è una macchina da guerra, aiutato nella sezione ritmica da Cinghio, ottimo anche al basso. Vengono proposti brani quasi esclusivamente appartenenti agli ultimi tre album della band, con eccezione del classico Misconception posto in chiusura. Meno di 40 minuti, senza una pausa che lasciano tramortito il pubblico per l’assalto sonoro, ma che, a mio avviso, avrebbe avuto bisogno di più momenti di interazione e di coinvolgimento.

FLESHGOD APOCALYPSE
Il gruppo perugino è ormai un grande nome della scena internazionale, costantemente in tour con grandi nomi, presente nei più importanti festival internazionali, e sotto contratto con la Nuclear Blast. Anche il pubblico romano è dello stesso avviso, riempiendo quasi completamente il Traffic, evento non proprio comune. Il palco è agghindato da una buona scenografia, che comprende un telone con il logo del gruppo e due stendardi laterali con le grafiche dell’ultimo album, Labyrinth; il caratteristico pianoforte è disposto lungo un lato del palco, mentre sull’altro si va a posizionare la bravissima soprano Veronica Bordacchini (autrice di un’ottima prestazione lungo tutta la durata del concerto). Si comincia con la classica accoppiata Temptation/The Hypocrisy; i suoni non sono assolutamente il massimo, cosa che non migliorerà durante tutto l’arco del concerto, con la batteria e la parte sinfonica a sovrastare completamente le chitarre, rendendo il tutto di difficile comprensione. L’impatto della band è comunque ottimo grazie ad una presenza scenica molto superiore alla media, dovuta all’intensa esperienza ottenuta nel corso degli ultimi anni. Vengono riproposte la nuova Minotaur, introdotta in maniera poetica dal singer Tommaso Riccardi, a cui seguono The Deceit e Requiem in Si Minore, che mostra quanto fosse buono il materiale del primo disco della band. La band apprezza l’entusiasmo del pubblico, davvero fuori dal normale. Nei 70 minuti di concerto, vengono proposti i brani degli ultimi due album, che mettono in evidenza l’evoluzione sinfonica della band e l’ottima perizia strumentale raggiunta (la prova della chitarra solistica è davvero ottima). Dopo il consueto saluto c’è ancora il tempo per un paio di brani, quella In Honour of Reason, che mi fece innamorare della band umbra, e chiusura affidata come di consueto a The Forsaking.

Veramente una serata riuscita, con band che, a prescindere dai gusti musicali, meritano grandissimo rispetto ed ammirazione.

A proposito dell'autore

Post correlati