Ormai soppiantato dal fenomeno metalcore, il death melodico sembra essere riuscito a scollarsi di dosso l’irritante etichetta di tormentone del momento divenendo un genere, dai più, rispettato, con le proprie coordinate, i propri must e la propria storia. Storia che, con una certa vena nostalgica, i Fragments Of Unbecoming sembrano aver studiato a fondo riproponendola in forma (fin troppo) fedele nel terzo capitolo discografico della propria carriera.
“Sterling Black Icon”, senza timori di anacronismo e pretese non certo elevatissime, torna musicalmente indietro di circa dieci anni, in maniera rigida e statica, apparendo come il fratello povero di quel capolavoro intitolato “The Gallery”. Se per i fans più oltranzisti e tradizionalisti del genere, l’ingombrante e pesante ombra dei primi Dark Tranquillity non costituisce un problema, però, non può dirsi lo stesso per quella carenza ispirativa che fa cadere rovinosamente il disco in una mediocrità piuttosto marcata. Prima della metà della tracklist, infatti, le fondamentali melodie e groove vengono assorbite da un songwriting acerbo e molto più duro che non produce altro che perdita di fascino per i brani e difficoltà nell’arrivare a fondo con gli ascolti. Sempre nell’ombra di Stanne e co., infatti, il lavoro diviene legnoso, dominato da un approccio di fortuna che, consumate le classiche armonizzazione di turno, si riduce a spingere su una vuota aggressività derivativa, classificabile come l’ultima cosa che un album del genere dovrebbe offrire.
Senza la presunzione e la cattiveria di discutere le elevate capacità tecnico-esecutive della formazione tedesca, non si può non rimanere delusi da un disco che, tra etichetta di tutto rispetto, produzione ottima e promozione audace, avrebbe dovuto e potuto offrire qualcosa in più, un quid, un piccolo elemento di considerazione che in “Sterling Black Icon” è davvero difficile riuscire a scovare.