Senza fornire, a chi scrive, informazioni di alcuna sorta e con un monicker che rimanda in maniera notevole ai pluri-citati At The Gates, i Gardens Of Grief arrivano all’esordio autoprodotto assoluto non nel più invidiabile dei modi. Una volta inserito, infatti, questo ‘Storm’ nel lettore le paure dell’ennesima band clone, dedita a swedish death, sono spazzate via da un deathcore apparentemente approssimativo e svogliato, caratterizzato da una produzione sensibilmente sotto la media delle uscite self-made. Le influenze più evidenti della band laziale sono, invece, più moderne e varie, spaziando tra rimandi più o meno diretti a band come Crisis, Unearth ed Haven Shall Burn. Brani acidi e tirati, dunque, che fanno dell’aggressività e del negativismo di sensazioni il loro tratto caratterizzante. Pezzi intenzionalmente variegati e malati, che non provano solo a colpire, quanto a comunicare un’appassionata sofferenza grazie all’unione della blasfemia del death con il senso di disagio reale tipico dell’hardcore. Piano lodevole, ma risultati distanti anni luce da quelli adeguati. Come già detto la band appare svogliata a causa di una cura dei particolari praticamente nulla ed arrangiamenti talmente trascurati da affondare una resa che poteva invece essere buona. Immagine dell’anima espressa della formazione di Formia è proprio offerta dal singer Cristobal e dal suo stile che spazia, mostra capacità e dolore, senza mai dare l’impressione di volere esprimere il meglio. E’ così che tutta la passione che vorrebbe essere il cardine del disco viene miseramente a crollare sotto i colpi di una mediocrità che è dietro l’angolo ed impiega poco per emergere. Difetti pesanti e tangibili anche con un approccio poco critico verso un disco mozzato, inspiegabilmente, dai propri autori che possono e devono dare di più. Il consiglio è di curare anche i particolari che possono apparire insignificanti, apparentemente troppi, per non rischiare di rendere insignificante il proprio talento.