Un 2011 piuttosto avaro di uscite memorabili ci consegna l’ennesimo comeback di un’altra vecchia gloria. Gary Barden non è certo uno di quelli artisti per cui si corre il rischio di cadere nella sudditanza psicologica; per lo storico singer inglese gli anni ’80 sono passati da un bel pezzo, anni in cui il singer inglese in coppia col chitarrista Michael Schenker, conquistava il mondo sfornando capolavori come il debut del Michael Schenker Group e “Built To Destroy”, dischi imprescindibili per chi volesse capire il metal di quegli anni e di quelli a venire. Così, dopo il consueto ritorno all’ovile sfociato nell’album “In The Midst Of Beauty” del 2008 e varie esperienze in giro per il mondo, Gary aggiunge un altro tassello ad una carriera solista che, almeno fino ad oggi, non ha certo fatto gridare al miracolo. “Eleventh Hour” non fa eccezione. Dati per inevitabili i riferimenti allo stile che gli ha dato la gloria, il disco si snoda attraverso undici tracce di puro hard rock praticamente privo di variazioni sul tema (leggasi: ballads). Ecco, il groove è una delle poche caratteristiche salienti del disco così come la voce del buon Gary, praticamente immutata nel corso degli anni, ancora pregna di quelle caratteristiche che lo hanno reso il punto di incontro fra il pathos del rock blues anni ‘70 e l’immediatezza di certi screamer tipicamente metal. Difficile citare un brano di punta, i due in apertura ricalcano in tutto e per tutto lo stile che lo ha reso famoso, così come la conclusiva “Don’t Take Me For A Loser”, tremendamente efficace a dispetto della sua struttura quasi scolastica. In mezzo, tanti episodi senza infamia e senza lode che spaziano dal blues ad un hard rock privo di originalità che, per qualche strano motivo, mi richiama alla mente gli ultimi Europe. Unico sussulto, l’inattesa “Before The Eyes Of The World”, un pezzo di otto minuti dalle atmosfere cupe ed epiche. Insomma, “Eleventh Hour” è un disco che nulla aggiunge ad una carriera che è già storia. Resta il tentativo, firmato da un professionista di lungo corso, di fare la stessa musica di sempre, e tanto basta.