Per la serie “ma chi ha detto che il buon metal è solo quello dei Maiden o degli altri svariati gruppi che agiscono indisturbati nel panorama musicale nostrano ed internazionale” ecco il ritorno discografico degli olandesi Goddess Of Desire, band che, nata nel lontano 1995 con l’idea (per alcuni bizzarra) di riportare a nuova gloria il metal della metà degli anni ’80 eseguendo sia cover dei gruppi più famosi e rinomati che pezzi propri che riprendessero quello stile musicale, il tutto completato dalla presenza scenica fatta da show che miscelano elementi sensuali e macabri. Il vero salto di qualità la band lo ha fatto entrando a far parte dell’etichetta Armageddon Music. Infatti la band è riuscita a produrre un album che miscelasse le sonorità presenti sia su “Symbol Of Triumph” che su “Conquerors Divine”.
Chi si appresta ad ascoltare questo gruppo per la prima è avvisato: ciò che traspare da ogni singola nota dell’album sono riff accattivanti, che entrano in circolo sin dall’inizio e che, quasi fossero delle droghe che provocano assuefazione immediata, restano per sempre in testa. Chiaramente, sempre per rispettare la vera tradizione del metal anni ’80, non mancano i grandi inni da cantare a squarciagola.
Quando si è di fronte ad album del genere, soprattutto per chi come me è cresciuto a pane e metal, diventa un impresa titanica riuscire ad essere obiettivi. Ma comunque non posso non segnalare alcuni brani che da soli valgono l’acquisto dell’album. A cominciare da “March To Meet”, “Dead End Street”, “Scream For Metal True” e “Majesty Of Metal”, dei veri inni metal caratterizzati da riff potenti, spaccaossa, con dei cori creati appositamente per essere cantati in sede live. Per me questi pezzi diventeranno i futuri cavalli di battaglia del gruppo.
Devo dire che la band riesce a spaziare senza alcun problema tra i vari stili che hanno caratterizzato la scena metal anni ’80: infatti si passa dal Thrash della Bay in brani come “Awaken Pagan Gods” e “Booze” sino al rock grezzo e sporco alla Motorhead come in “Nothing’s Free”; dai brani che richiamano molto lo stile epico (non solo quello dei Manowar ma anche in parte quello a cui ci hanno abituato i Blind Guardian) come “Bloodstained Sight” e “Victory Is Mine”, caratterizzato da un intro di basso che fa venire in mente i vecchi fasti di “Into Glory Ride” e “Hail To England”, sino a dei brani come “Holy War” e “Demolition”, che riportano alla luce le ritmiche che i fan di Priest, Maiden e dei rinomati “becchini” tedeschi hanno da sempre amato.
Diciamo pure che, senza voler fare gli “sboroni”, i Goddess Of Desire cercano di difendere la scena metal classica. Ci posso scommettere che qualcuno potrà considerare questo album un prodotto adatto solo ai nostalgici delle sonorità anni ’80, io sono di parere diverso: questo album potrà servire da punto di partenza per chi è a digiuno completo di metal e voglia cominciare ad ascoltare questo genere che “dovrebbe” (usare il condizionale è d’obbligo in questo caso) incitare alla fratellanza ed all’amicizia.