Il Gods Of Metal targato 2011 è, a mio avviso, uno di quelli di maggior richiamo. Artisti come gli headliner Judas Priest, che prima annunciano il loro tour di addio e poi si rimangiano tutto (per fortuna), Mr.Big, Europe, whitenake bastano da soli a chiamare a rapporto qualsiasi metallaro. E così è stato.
L’evento si è svolto in uno degli innumerevoli parcheggi della Milano Fiere, a ridosso di un altro concerto evento del giorno prima con Foreigner e Journey che ha costretto molti a dormire a Milano per partecipare ad entrambi. il parcheggio è stato trasformato in una vera e propria cittadella: zona concerto e zona ristoro, ottimamente configurata e gestita. Meno piacevole è stato dover percorrere svariate centinaia di metri dal parcheggio all’ingresso dell’area concerti, e per chi doveva ancora comprare il biglietto farne altre centinaia fino alla biglietteria, e ritorno.

Il girovagare per i parcheggi e biglietteria ci ha fatto perdere l’esibizione dei thrasher Baptized In Blood, arrivando giusto per l’ebizione del gruppo dei fratelli Cavalera, i Cavalera Conspiracy.
Il gruppo brasiliano ha fornito una esibizione cruda e pesante dei recenti lavori dei fratelli, senza coinvongere troppo la massa. Il cantante è dovuto ricorrere ai giochetti dello straniero che la prima cosa che impara sono le parolacce, per coinvolgere il pubblico e ai vecchi cavalli di battaglia dei Sepultura come Roots Bloody Roots.

Cambio di gruppo e si presentano i Loaded dell’ex Guns N Roses, Duff McKagan quando inizia a gocciolare. Fortunatamente per tutta la giornata questo è stato l’unico momento in cui si è affacciata seriamente un po’ di pioggia. Il biondo forse a causa di grossi problemi tecnici, non riesce a esprimere una prova degna della sua fama. Le canzoni presentate non hanno reso ma il pubblico che era comunque numeroso sotto il palco, non è stato eccessivamente coinvolto. L’inadeguatezza di Duff dietro al micorofono è palese, monocorde e poco espressiva, che fa da corollario a un punk stradaiolo e di dubbio valore.

Arriva quindi Simone Simmons con i suoi Epica. Un corpetto che le stringe esageratamente dalla vita mette in bella mostra il decoltè. I suoni non rendono giustizia alla musica ai sei giovani, i problemi tecnici continuano e le chitarra sono impercettibili per chi è sotto palco, mentre la batteria è esageratamente alta. Le tastiere sono l’unico altro strumento che si sente; Simone canta molto bene ma l’effetto finale, unito a una esibizione noiosamente statica, è decisamente brutto.

Mi allontano per mangiare qualcosa nell’ottima area ristoro allestita con ben tre gastronomie, un bar, una gelateria, che salgono sul palco i Cradle Of Filth. Non mi sono mai particolarmente interessato a loro, e la loro esibizione, unita ai costanti problemi audio (che purtroppo saranno una costante di questo Gods fatta salva qualche eccezione), è decisamente pessima. di certo dopo averli sentiti continuerò a non essere interessato a loro. La musica di per sè non è male, orchestrale e grintosa, la vera pecca è l’ugola di Dani Filth, un continuo riversare acuti sul microfono sempre uguali che alla lunga stancano.

Si può dire che il Gods inizia seriamente ad accendersi da adesso in poi. Il grosso del pubblico arriva ora, l’area concerti si riempie, e la serata non sarà più la stessa. Entrano sul palco i Mr.Big freschi della pubblicazione di uno splendido album What If… per la nostrana Frontiers, che è il primo dopo la recente reunion.
I problemi tecnici vengono in grossa parte risolti, qualche sbavatura sul finale dell’esizione del quartetto, ma poca cosa rispetto i precedenti.
Non è ancora iniziata l’esibizione che il pubblico, durante il sound check, li incita a presentarsi sul palco. Appena si presentano vengono accolti in trionfo. Eric Martin da subito rimane sorpreso dell’accoglienza, con un pubblico che canta dall’inizio alla fine tutte le canzoni, salta e si diverte. Si diverte perchè i Mr.Big divertono, intrattengono, scherzano col pubblico. Immancabili i solo di Gilbert prima, di Sheehan poi, e duelli successivi, anche con l’immancabile trapano Makita che li accompagna da ormai un quarto di secolo nei loro concerti. Esaltanti.

Passata l’ovazione totale ai Mr.Big entrano gli svedesi Europe. Purtroppo il pubblico non li ha accolti subito benissimo, Joey Tempest ha avuto difficoltà a scaldare i presenti. L’entusiasmo generato dai Mr.Big si spegne, e solo nel finale si riprenderà definitivamente grazie alla sapiente opera di Tempest che corre da una parte all’altra del palco, ruota l’asta del microfono rievocando i fasti di un tempo. Il gruppo è una garanzia nell’esecuzione dei pezzi, troppo sotto tono John Norum, che ho avuto l’impressione fosse un po’ stanco. Il cerino sempre spento sui pezzi più recenti degli Europe si accende definitivamente dalle prime note di Carrie. Da lì in poi il pubblico sarà nelle mani di Tempest e soci.

Si fanno le 19.30 circa ed è la volta di Mr David Coverdale e i suoi Whitesnake che come i loro compagni di scuderia, hanno da poco pubblicato un album per la Frontiers. Il pubblico è in evidente stato di eccitazione, e Coverdale nonostante non sia più un giovanotto si atteggia a tale. La prova del gruppo è esemplare, sorretta anche dall’unico momento in cui tutto funziona a dovere nei suoni. I nuovo acquisti dimostrano un’efficace e produttiva integrazione nel gruppo. Un Coverdale in formissima ha coinvolto il pubblico, eccitato qualche trentenne o più, e fatto godere particolarmente nei classici. Meno riusciti gli interminabili assoli, banali all’inverosimile e piuttosto mal riusciti.

Passata la classe del serpente bianco è la volta degli intramontabili Judas Priest, che perdono uno dei membri storici K.K. Downing per voler continuare a registrare album e andare in concerto, seppure in maniera estremamente ridotta, dal prossimo anno. Il posto è stato coperto da Richie Faulkner, già chitarrista di Laurin Harris.
Tutto si ferma al Gods, viene montanto un telone davanti e ai lati del palco per coprire la scenografia preparata per l’Epitaph Tour. Scenografia industriale, con valangate di catene, d’altronde sono Made Of Steel, e come poteva quindi essere diversamente.
Per questo tour lo storico gruppo inglese ha ripescato da tutti, ma veramente tutti, gli album quasi a voler celabrare definitivamente la loro carriera ripercorrendola e ripresentandocela anche con supporti video. La prestazione di Halford è stata magistrale e senza cedimenti. Pubblico definitivamente impazzito sui grandi classici. Immancabile la scena di Halford che entra sul palco in moto. Al nuovo acquisto viene data carta bianca, ed è proprio lui che si smazzerà tutti i principali assoli; è sempre lui a correre ovunque sul palco, mentre Halford intrattiene il pubblico. Che dire, impeccabili e professionali.