Coeso e coerente dall’inizio alla fine questo nuovo album dei Gorgoroth. Mi sentirei di concedere solo la sufficienza, non fosse per la qualità del prodotto, davvero alta. E forse un sentimento di parzialità, ahimè, per il black metal dalle sonorità alquanto cupe ma pur sempre melodiche. Ecco, nel black apprezzo che la ferocia non sfocia mai in composizione rozza e sgraziata. Tecnica ed armonia accompagnano puntualmente la malvagità. E i Gorgoroth non sono da meno.
Un album intitolato “Chi può va verso Satana” e un teschio grigio su copertina nera non lasciano davvero presagire un’opera né innovativa né originale. Inoltre i richiami ai Belpehgor di Walpurgis Rites sono costanti. In particolare in Prayer le note ricalcano più volte quelle di Veneratio Diaboli – I Am Sin. Sembra quasi fatto apposta, vista la medesima tematica di culto satanico, e sembra “diabolico” che l’album dei Gorgoroth sia uscito subito dopo quello dei Belphegor, a sua volta successivo ai Behemoth, anch’essi affini al satanismo e all’occulto. Si potrebbe aggiungere anche che mancano assoli di chitarra davvero interessanti e che la batteria del debuttante Tomas Asklund è un tantino ripetitiva.
Ciononostante l’album dopo diversi ascolti non stanca, anche perché dura poco più di mezz’ora. Aggiungerei che la voce del figliol prodigo tornato all’ovile, Pest, è ottima, tagliente e decisa, mai troppo roca. Decisamente valida, quasi liturgica in senso satanico, Satan Prometheus con i suoi cori di sottofondo è a mio avviso il momento più intenso del disco. Disco che vanta, tra l’altro, una produzione cristallina pur mantenendo l’atmosfera black. In chiusura, coerentemente, un brevissimo inno dei profeti delle tenebre al loro Satana, con lugubri rintocchi di campane.
Certo che se i Gorgoroth non avessero detto senza mezzi termini ( l’ex Gorgoroth Gaahl in “Metal – A Headbanger’s Journey” di Sam Dunn) che la loro vita è ispirata a Satana, e che è assolutamente giusto anzi necessario bruciare le chiese mi starebbero più simpatici, tuttavia il prodotto 2009 a distanza di 17 anni dalla loro nascita nella controversa Norvegia degli anni ’90, mantiene il legame con la tradizione, è attuale allo stesso tempo, è godibile e non annoia.