Sono trascorsi solo 4 anni dal debut “Journey To The End Of The Night” e le cose sono cambiate. Dal doom paranoico degli esordi, al gothic dalle venature progressivo-psichedeliche del grandioso “Light of Day, Day of Darkness”, alla creatura odierna “A Blessing In Disguise” i Green Carnation (composti al 90% da ex In The Woods), creatura del poliedrico Tchort (Emperor, Carpathian Forest, Blood Red Throne) si stanno spostando sempre più verso territori più accessibili e solari. A testimonianza di ciò vi sono le composizioni di “A Blessing In Disguise” che, abbandonata la precedente formula comparsa in “Light of Day, Day of Darkness” la quale vedeva un unico brano di 50 minuti, sono diventate più dirette ed assimilabili accorpando in se, oltre che le tradizionali influenze gothic (anche se minori rispetto al passato) e tralasciando quasi completamente le atmosfere doom, un sound che spesso pesca a piene mani dal prog dei mitici 70, dall’heavy metal e dal rock psichedelico. I risultati ottenuti sono davvero buoni anche se, personalmente, apprezzo più l’album precedente (ve lo consiglio caldamente).
Rispetto al precedente, “A Blessing In Disguise”, ha appunto il pregio (per altri difetto) di essere molto scorrevole ed assimilabile, tanto che sin dal primo ascolto, melodie e ritornelli si stamperanno nelle nostre menti. L’ottima e movimentata apertura di “Crushed to Dust” riesce subito a colpire l’ascoltatore, vuoi per i suoi riffoni di chitarra vuoi anche per i ritornelli che difficilmente dimenticheremeo.
La prima gemma del disco giunge presto; “Lullaby In Winter” è emozionante, dolce e varia regalandoci, nella sua forma totale, strutture prog settantiane, dolcissimi arpeggi di chitarra e la voce di Kjetil davvero efficace. Così, fra brani più veloci e massicci i quali dimostrano anche le qualità tecniche della band ci si sofferma su quelli più riflessivi e malinconici, brani in cui i Green Carnation risultano essere dei veri maestri. Brani come “The Boy In The Attic”, “Two Seconds In Life” sono delle vere perle anche se un po’ ostiche da assimilare.
Calde note di pianoforte, chitarre tristi ed un cantato molto particolare riescono davvero a penetrare nei nostri cuori, in profondita, strappandoci qualche brivido di piacere. Nota di merito va alla conclusiva “Rain”, un’ottima canzone la quale si discosta leggermente dal “marchio” Green Carnation, componendo melodie abbastanza atipiche e piacevoli supportate da un cantato davvero bello (in questo brano Kjetil supera se stesso).
Detto ciò è impossibile non apprezzare un disco del genere il quale, anche se non eguagliando il suo predecessore, risulta essere davvero ricercato ed ispirato ponendosi un gradino sopra molti gruppi più seguiti ed apprezzati (ingiustamente) che, di originalità e ricercatezza, hanno ben poco. Ascoltate “A Blessing In Disguise” al buio, in una stanza piccola e silenziosa, e non potrete che darmi ragione.