Da non confondere con i seminali ed omonimi Griffin di “Flight Of The Griffin”, questi cinque ragazzi norvegesi danno alle stampe il loro quarto album in studio, a titolo “Lifeforce”. Col passare degli anni la proposta della band di casa Massacre si è fatta via via sempre più estranea agli estremismi sonori degli esordi in favore di un heavy metal roccioso e privo di fronzoli, giocato su ritmiche possenti e su soluzioni classicheggianti che non disdegnano puntatine in territori power ed hard rock.
Undici tracce (più intro) di metal potente e ben suonato quindi, ispirato ai mostri sacri del settore ma sicuramente non all’altezza dei grandi nomi della scena: “Lifeforce”, infatti, scorre abbastanza anonimamente in virtù della sua reiterata scontatezza di fondo, sempre e comunque relegato al contesto heavy metal tout court, sempre e comunque sviluppato sui soliti e vetusti stilemi del genere.
Se due fattori fondamentali come la personalità e l’intraprendenza vengono meno, è chiaro che a risentirne sarà tutto il contesto “Lifeforce”: si passa da qualche buona intuizione sparsa qua e la (vedi la dinamica e potente “Rest” o la mastodontica title track) a soluzioni di ripiego spesso noiose ed inflazionate. Tecnicamente i Griffin non sembrano accusare nessuna mancanza, ogni componente della band sa come e dove operare col proprio strumento ed ognuno si ritaglia il giusto spazio all’interno del più ampio contesto “Lifeforce”. Su tutte, comunque, è bene sottolineare le buone prestazioni di un singer davvero molto carismatico e di una coppia d’asce che, seppur nel suo limitato spazio d’azione, riesce tuttavia a creare soluzioni non innovative ma piacevoli da ascoltare. Non bastano, dunque, l’ottima produzione curata da Andy LaRocque (che compare anche in veste di guest nella simpatica bonus track “Unforgiver”) e la voce maschia e graffiante del singer Pete Beck a sollevare le sorti di un lavoro scialbo e piuttosto deludente. Da rivedere in futuro…