Quarta prova sulla lunga distanza per la più importante band svedese del panorama classico europeo, questo “Crimson thunder” esce a due anni di distanza dal criticato e discutibile “Renegade” con il difficile compito di riconquistare il cuore di coloro che hanno perso di vista il gruppo dopo il passo falso del 2000.
Gli Hammerfall hanno lavorato duro, sono volati a Tenerife agli studi di Andi Deris (cantante degli Helloween per chi vivesse su Marte) i Mi Suenio sotto la guida del veterano Charlie Bauerfiend per effettuare quasi quattro mesi di studio-work e affinare al massimo le armi di questo nuovo platter.
Da quando esordirono nel 1997 gli Hammerfall sono diventati il riferimento di gran parte del pubblico nostalgico europeo, quelli che non hanno mai dimenticato gli anni ottanta e che sbavano di fronte a formazioni storiche come Accept o Stormwitch, le quali non avevano ancora trovato eredi credibili nell’era moderna.
Alcuni pensano che gli Hammerfall siano una band costruita, con un targeting preciso, l’idea mia è sempre stata quella di una formazione fedele al Metal, composta da persone che sono cresciute col suono classico che il nostro genere impone e che una volta imbracciati gli strumenti hanno reso omaggio ai loro idoli, con questo credo che gli svedesi faranno sempre discutere e con loro anche questo disco.
“Crimson Thunder” non sorprende, non innova, non aggiunge nulla alla scena di oggi, è un monumento all’Heavy Metal, quello vecchio, quello vero, un disco da motociclisti che si ascolta in una birreria, con un chiodo addosso e una bionda tra le dita, un disco che chi ama il Metal non può non amare.
Gli errori di “Renegade” sono stati corretti: la batteria è poderosa e aggressiva in ogni frangente, le chitarre sono molto più graffianti e acide e il cantato di Cans, forse come mai prima, appare completo e incisivo senza quella sensazione di sforzo che si sentiva in passato.
La lezione del signor Dirkschneider l’hanno imparata bene, la prima Riders of the storm ce lo conferma, un up-tempo quadrato e non veloce dove le chitarre cattive e graffianti sorreggono le vocals crescenti e finalmente acide, un brano classico che col power non c’entra proprio ma affonda le sue radici molto più indietro.
Forse più aggressiva la successiva Hearts on fire con una ottima sezione ritmica e una produzione magnifica si manifesta subito come anthem da concerto con un ritornello corale e un incedere deciso e frontale, un brano non elaboratissimo ma funzionale e convincente.
Molto più veloce e dinamica On the edge of honour ci riporta a “Legacy of kings”, autentico capolavoro del Metal per chi scrive, con chitarre taglienti come rasoi e un Cans molto ispirato che dona melodia e corpo alle strutture vocali del pezzo, non mancano i cori da riproporre dal vivo sotto il palco.
Un vero rullo compressore che inesorabilmente avanza, la title track è un tributo ai Judas Priest meno veloci, tra atmosfere oscure e refrain decisamente più ariosi nel ritornello il gruppo sforna un nuovo classico dedicato a tutti coloro che vivono di musica Heavy.
Non c’è tempo di pensare che il ritmo si incendia ancora con Trailblazer impostato su riff taglienti e fottutamente classici che esplodono in un ritornello crescente ed epico che sembra uscito dal secondo platter del gruppo, il brano comunque non sfocia nel power melodico tenendosi legato al classico suono anni ottanta.
La ballad sinfonica Dreams come true scorre piacevole, la cover Angel of mercy invece non mi convince proprio, potevano tributare a un gruppo più vicino alla loro proposta, magari i Warlord visto che ora Cans ne fa parte!
Poco male perché con The unforgiving blade ritroviamo il mood degli Accept del periodo d’oro, riff granitici, tempi sostenuti e linee vocali a vetriolo per una track che da sola ripagherebbe dell’acquisto di tutto il cd, ottime anche le chitarre soliste duellanti (chi le usa più?).
Lo strumentale In semoriam smorza i toni grazie a melodie di chitarra a tratti minori, a tratti epiche, ma il disco si conclude sotto i colpi dell’ottima Hero’s return un brano veloce con tempi sostenuti e una batteria incisiva e cattiva, le chitarre sono ancora frontali e distruttive per poi aprirsi nel ritornello corale e crescente, ottima conclusione di un cd davvero notevole.
Gli Hammerfall si riprendono tutto quello che gli spetta, confermano la loro dedizione al Metal Classico, forse mettono per sempre da parte il power e non potranno deludere chi, come loro, ha vissuto gli anni ottanta e ora sente la mancanza di quel periodo lontano.
I templari d’acciaio per me non si toccano, un bell’8.