Tornano gli Hammerfall e mai come in questo caso recensire un disco assume i connotati di un’impresa. Impossibile ignorare da dove si parte e dove si finisce quando si parla degli svedesi, impossibile assumere atteggiamenti da onesto sensale: o li si ama per quell’atteggiamento da tamarri scanzonati unito all’indiscussa dote di creare melodie accattivanti, o per gli stessi motivi li si odia. La differenza in casi come questo, la fa l’ispirazione, la capacità appunto di mettere insieme le note senza dover per forza apparire in qualche modo innovativi. Bene, va detto subito e senza tanti giri di parole che stavolta la band ha toppato alla grande. Intendiamoci, “Infected” conferma pressoché in pieno tutte le caratteristiche dell’Hammerfall sound; quello che non quadra è l’impressione di falsa cattiveria che traspare sin dalle prime note di “Patient Zero”, quel voler suonare oscuri a tutti i costi ostinandosi a percorrere sentieri nuovi o presunti tali. Come se la band dopo quindici anni di rispettabile carriera si sentisse in obbligo di dimostrare qualcosa. Che la cosa puzzi di artificioso lontano un miglio si capisce subito, difatti la band finisce per compiere il classico “un passo avanti, due passi indietro”: è esattamente ciò che avviene durante le note che uniscono la opener alla pretenziosa “Bang Your Head”, traccia pretenziosa e inconcludente, impacciato tributo al festival che lo scorso anno li ha visti indiscussi protagonisti. A bocce ferme il primo elemento di novità è l’assenza di Charlie Bauerfeind alla console che rompe così un sodalizio durato ben dieci anni. Così, mentre il Re Mida del power sbanca le classifiche con Helloween e Blind Guardian, i cinque svedesi si rivolgono a James Michael, il produttore sbagliato con il background sbagliato al posto sbagliato. La scelta (ovviamente sbagliata) di Michael è la dimostrazione di quanto possa incidere un produttore positivamente o negativamente, sul sound di una band fra tante. I vecchi dischi degli Hammerfall avevano le caratteristiche che sappiamo e pur non esenti da difetti sapevano essere accattivanti e ben costruiti, mentre“Infected” è un disco tremendamente noioso, come se la band avesse perso di colpo l’ispirazione che l’ha portata in qualche modo al successo su larga scala. Difficile dare una valutazione sulla prova dei singoli: i timidi segnali di risveglio di Joachim Cans si perdono in pezzi dalla banalità sconcertante come la ballad “Send Me A Sign”, “666-The Enemy Within” (che razza di titolo è?) e “I Refuse”. Il resto della band si limita a timbrare il cartellino con la consueta regolarità, ma non basta: alla fine non si conta uno spunto vincente, un riff, un brano degno almeno di stare accanto agli anthem della band. Undici brani piatti e prevedibili che sconfessano ottimi dischi come “Crimson Thunder” o il penultimo “No Sacrifice, No Victory” e che non sono minimamente paragonabili al repertorio degli esordi: “Glory To The Brave” o “Legacy Of Kings” non sono certo due esempi di originalità o avanguardismo ma come dischi stanno proprio su un altro pianeta. Bisogna dare atto che la band ha sempre svolto il proprio lavoro con grande professionalità come dimostrano i live acts di prim’ordine e la cura certosina delle loro produzioni. Stavolta il problema è un po’ più delicato, si tratta semplicemente dei pezzi che non ci sono, di un’ispirazione che pare svanita, di una band che insomma, vorrebbe rinnovarsi ma non ha forse le capacità per farlo. Infine, era proprio necessario togliere di copertina il mitico Hector per far posto a una pallida citazione di Resident Evil???