A distanza di tre anni ecco che in tutti i negozi di dischi del globo sta per arrivare il nuovo
e attesissimo album delle zucche più famose del metal. Avevo recensito da non molto il singolo
“Just A Little Sign” che ‘per fortuna purtroppo’ non ha assolutamente fatto capire che direzione
abbiano scelto di intraprendere dopo l’allontanamento, da parte del padre padrone Michael Weikath,
di Roland Grapow e Uli Kusch.
Per la realizzazione di quest’album Weikath e soci si sono avvalsi dei servigi di ben tre batteristi
distinti: Mark Cross ex Metalium e batterista ufficiale degli Helloween, prima che dei problemi di salute lo
costringessero a lasciare la band, Mickey Dee (Motorhead) e infine il nuovo batterista Stefan
Schwarzmann (Running Wild, Accept, UDO).
La nuova formazione viene completata dal giovanissimo chitarrista, solo venticinquenne,
Sascha Gerstner (ex Freedom Call).
Gli Helloween sono uno dei miei gruppi preferiti e dopo il non proprio esaltante, per il sottoscritto,
“The Dark Ride”, che giudico troppo oscuro e con musica e testi poco allegri e giocosi
che hanno sempre contraddistinto i cinque di Amburgo, ero molto ansioso di ascoltare il nuovo album
anche per capire chi la spunterà tra i Masterplan, il nuovo gruppo di Grapow e Kusch che tanto successo
ha riscosso, e le zucche tedesche.
Con quest’album i nostri fanno un notevole passo all’indietro rispetto “The Dark Ride” tornando a melodie
più allegre e ariose, ma anche un passo in avanti…
Infatti si è fatto un uso più massiccio che in passato di tastiere in alcune canzoni, per dare un tocco più
sinfonico tanto di moda, ma senza snaturare il tipico sound aggressivo e veloce. L’artefice di
questa piccola innovazione è stato proprio il nuovo chitarrista Sascha che ha scritto la più bella
canzone dell’album “Open Your Life”, che secondo me sarebbe stato meglio scegliere come singolo
piuttosto che “Just A Little Sign”, con quelle sue melodie accattivanti supportate dagli inserti sinfonici,
la veloce e battagliera “Listen To The Fly” e la più semplice “Sun 4 The World” in cui Sascha suona anche un Sitar.
Una sorpresa è stato il bassista Markus Grosskopf che scrive due tra le migliori canzoni dell’album,
mentre fino ad ora aveva scritto solo canzoni utilizzate per i singoli, eccetto “I’m Doin’ Fine Crazy Man” da
“Pink Bubble Go Ape”: “”Liar”, una delle più violente e veloci canzoni mai scritte dal gruppo tedesco con
dei bellissimi riff affilatissimi e “Hell Was Made In Heaven” in cui mette in bella mostra in particolare
la sezione ritmica, quasi a voler dimostrare tutto il suo valore, e con un ritornello molto accattivante.
Il più netto ritorno al passato viene compiuto da Weikath in “The Tune”, in cui Deris ricorda molto il Kai Hansen di
“Land Of The Free” in alcune linee melodiche, e nell’allegrissima “Do You Feel Good” in cui si mette anche a giocare
con l’elettronica nella parte iniziale.
Noia pura invece per le canzoni scritte da Deris che si cimenta nelle sue tipiche canzoni lente (che si assomigliano
un po’ tutte) eccezion fatta per la veloce e più orecchiabile “Just A Little Sign”.
L’album si conclude con un piacevolissimo ritorno agli anni ottanta con una sorta di Metal ‘n’ Roll di “Nothing To
Say”, canzone non veloce in cui Weikath riesce ad inserire anche un momento prettamente Reggae. Molto simpatica.
Gran bel ritorno per il gruppo più amato in ambiente power metal anche se perde il confronto, pur se di poco, con
l’album di debutto dei Masterplan per via dei brutti brani lenti di Deris e di un’eterogeneità tra i pezzi troppo
grossolana: più sinfonici quelli scritti da Gerstner diversamente da quelli più pesanti e aggressivi scritti da Grosskopf.
Weikath invece rimane ancorato al passato.
In definitiva un album bello e che si fa ascoltare con piacere anche se si devono amalgamare meglio tutte le anime
del gruppo tra le quali spicca quella del nuovo chitarrista che può fare molto bene in futuro.
Stefano Muscariello