Questa band sorprende sempre di più ad ogni album. Il primo album “Heir Of Power” veniva penalizzato da una produzione decisamente pessima, il che non aveva comunque messo in ombra le buone potenzialità del gruppo. Nel successivo “When The Aurora Falls…” la produzione era stata affidata all’ormai arcinoto Luigi Stefanini e registrato ai New Sin Studios dello stesso Stefanini.
Questo ha permesso alla band di fare un notevole passo in avanti potendo finalmente far vedere cosa effettivamente sapeva fare. Un lavoro assolutamente ottimo da ogni punto di vista, in particolare dal songwriting. Album potente e sinfonico, che se fosse stato supportato in maniera più adeguata avrebbe portato agli Highlord vendite ben maggiori.
Dopo quest’ottimo album ero veramente curioso di sapere se il gruppo sarebbe stato capace di rimanere sugli stessi livelli visto anche l’abbandono del cantante Vascè, per problemi alla voce, sostituito dall’ottimo Andrea Marchisio (già con i Desdemona).
Ora che ho ascoltato l’album, sempre prodotto da Stefanini ai New Sin Studios, posso affermare con assoluta certezza che il gruppo ha compiuto un ulteriore passo in avanti con un album decisamente migliore del precedente.
Il nuovo cantante interpreta al meglio la musica di Droetto e Muscio, rispettivamente chitarra e tastiera; non è un clone di Kiske come era Vascè, non cerca mai l’acuto. Il suo modo di cantare è più teatrale.
La stessa musica ne ha risentito; ora è molto più di un semplice power sinfonico. E sì perché si pesca a piene mani dall’hard rock di chiara matrice Europe al neoclassicismo alla Malmsteen con spunti più progressive rispetto al passato.
L’album inizia con la prima parte di Atlantis e altro non è che un intro molto d’atmosfera che parte lenta per poi diventare aggressiva e veloce in crescendo, in modo da prepararci alla seconda parte in cui vengono fusi gli Angra più sinfonici con la potenza tipica del power ed una buona dose di metal prog.
Il neoclassicismo viene proposto in Stream Of Illusion con un ritornello che rimane facilmente impresso nella mente. Assoli di chitarra e tastiera veloci e puliti. “Dream Chaser” parte subito velocissima e potente, con un grandissimo virtuosismo di Muscio, e le chitarre si fanno più serrate.
Più Hard Rock risulta invece Back From Hell, che è ispiratissima a The Final Countdown con chitarre molto più incisive. Da segnalare l’ottimo lavoro eseguito nei cori.
Nella successiva Show Me Your Kingdom sono presenti solo delle venature neoclassiche mentre Follow Me inizia molto alla Stratovarius per spostarsi su lidi prettamente più power con uno spettacolare doppio assolo chitarra/tastiera. Una delle mie preferite insieme a Back From Hell.
Breath Of Eternity è la seconda traccia prettamente neoclassica nonostante sia molto varia. Le parti neoclassiche irrompono e scompaiono di tanto in tanto all’improvviso per lasciar spazio alle chitarre. Assolutamente fantastica la parte sinfonica finale. The Phoenix’s Fire è maestosa, come suggerisce il titolo, con la presenza di contro cantato growl (Children of Bodom hanno insegnato che growl e power possono convivere ottimamente) anche se semplice nella costruzione.
Interpretazione stupenda di Marchisio in Moonlight Romance, un lentone piano/voce in cui è presente un inserto di sax che rende il tutto molto raffinato e che chiude in bellezza un grandissimo album.
In definitiva un disco da non lasciarsi sfuggire per gli appassionati del genere, e non solo! Infatti quest’album è più vario rispetto i precedenti in cui vengono messe in primo piano le tastiere mentre il ruolo delle chitarre è stato messo, relativamente, in secondo piano come virtuosismi ma, messo in primo piano come base ritmica.
Inoltre Marchisio ha realizzato una prova superba dimostrando che non è necessario cantare con tonalità altissime. Con questa formazione gli Highlord possono fare grandi cose.
Peccato per la mancanza, nella versione non giapponese dell’album, della cover di Saint Seya (I Cavalieri dello Zodiaco). Sarebbe stata una vera chicca.