Qualche tempo fa arrivò al sottoscritto un’e-mail da parte di un gruppo gallese che chiedeva un indirizzo dove poter inviare il proprio disco per una recensione. Siccome arrivano tantissime richieste, fornii il mio recapito senza pensarci troppo e, il giorno che mi arrivò il cd lo misi sulla mia scrivania insieme ad altri che attendevano di essere recensiti. Ora devo dire che mi sento in colpa.
Gli Hunted sono infatti un gruppo da tenere fortemente sott’occhio e rilasciano il loro primo lavoro “Welcome The Dead” quasi in sordina, senza farsi notare troppo. Poi lo si inserisce nello stereo ed allora le cose iniziano a farsi dannatamente serie: Nevermore, Iced Earth ed i Judas Priest di “Jugulator” si fondono con il prog per dar vita ad un ibrido estremamente personale ed intenso. Sono stati un paio gli elementi che mi hanno fatto costruire in testa dei malati pregiudizi: anzitutto il fatto che si trattasse di una band giovane con un solo demo alle spalle, poi l’essere stati osannati dalla stampa metal inglese, nota per far sembrare sempre dei capolavori tutte le proposte provenienti dalla propria patria. Questi due fattori sono stati, per ciò che mi riguarda, fuorvianti nell’approccio al lavoro del quartetto e mai sono stato più felice di ammettere il mio errore.
Il punto è che i suoni sono bilanciati verso una potenza devastante, mentre la controparte più progressiva scaturisce dalla grande varietà delle dinamiche all’interno dei brani. Ogni pezzo è infatti composto da una quantità assurda di idee, perfettamente fuse l’una con l’altra e parte integrante di un unico discorso che le unisce tutte, una marea di riff che però non appesantiscono affatto l’ascolto, insomma.
Se l’opener altro non è che un’intro, la seconda traccia è forse quella meno rappresentativa del sound dei Nostri e meno adatta all’ingrato ruolo di apripista, visto che stenta un po’ a decollare, ma le cose si mettono subito in quadro a partire da “Chosen” per poi proseguire a ruota fino alla riflessiva “Aria (In Memoriam)”, dedicata al fratello del chitarrista Steven Barberini, prematuramente scomparso. Chiude poi il disco la cover di “The Heart Collector” dei Nevermore, sicuramente il brano più lineare del lotto, il che è tutto dire vista la complessità media dei brani della band di Seattle.
Plausi a profusione, quindi, per l’operato di tutti i musicisti della band, dotati oltre che di tecnica, anche di feeling, gusto ed abilità nel songwriting. Peccato non aver avuto prima l’occasione di ascoltare questo lavoro, altrimenti sarebbe finito di diritto nella Poll di fine anno come migliore scoperta. Per una volta la stampa inglese non ha sprecato lodi immeritate: gli Hunted meritano tutta la vostra attenzione.