E’ un dato di fatto, gli anni ottanta stanno tornano o sono tra noi, o per lo meno alcuni suoi rappresentanti. Si comincia a perdere il conto dei gruppi che ritornano sulle scene, dal vivo prima e su disco poi, per riproporre il suono di quei magici anni. Forse è il mercato a richiederlo, forse non si ha più niente da dire, o forse più semplicemente il pubblico è stufo di ciò che è stato proposto negli ultimi anni e torna indietro cercando di scoprire, o riscoprire, vecchie glorie, più o meno note.
Tra i ritorni troviamo gli americani Hybrid Ice, gruppo con all’attivo due album, il primo omonimo del 1982 e il secondo del 1987 intitolato No Rules, che ritornano a noi con questo nuovo autoprodotto dalle forti tinte prog di chiara matrice Yes, Pink Floyd, Kansas, Styx e via discorrendo.
Nonostante l’evidenza della derivazione della loro musica i cinque riescono a realizzare un album di altissimo livello, efficace, mai banale, ruffiano quanto basta, scritto e suonato con tanta classe, e perchè no, tanta umiltà che al giorno d’oggi non è mai abbastanza in un gruppo.
Si parte subito grintosi con Fight Another Day, un titolo che sembra rappresenti la loro voglia di resistere a un mondo discografico sempre più difficile, per poi passare an un sano e genuino rock con Bring The Gold. A mio avviso la perla dell’album è la canzone successiva, la dolcissima Worth The Wait, assolutamente magnifica e sognante. Altre perle rare sono Worth The Wait probabilmente la più debitrice agli Yes, Only The Lonely con quel suo maestoso incedere tastieristico, ma anche la variegata Faith Without Works in cui le chitarre rincorrono le tastiere e viceversa in un’alternanza quanto mai efficace.
Tutto Mind’s Eye scorre rapido, senza cali, alternando grinta e melodia, in un rincorrersi di emozioni. Un album che mi ha fatto vivere intense emozioni. Fatelo vostro.