Fra i nomi più altisonanti della scena death metal stelle e strisce spicca quello dei newyorkesi Immolation, sinonimo da quasi due decenni di alta qualità musicale. “Harnessing Ruin”, diciamolo subito, non è poi questo gran capolavoro ma è semplicemente un buon album di death metal, suonato con perizia tecnica e ferocia, che piacerà molto ai seguaci del gruppo e del genere ma che piacerà un pò meno a chi cerca qualcosa di nuovo che si distingua dalla massa.
Il sound è di quelli che spaccano, di una ferocia devastante; i 20 anni di militanza sulla scena si sentono secondo per secondo in “Harnessing Ruin” anche se è difficile considerarlo alla pari di altri capolavori del passato degli Immolation, quali “Dawn Of Possession”, “Here in After” e il più recente “Unholy Cult”; un passo indietro.
Devastante il quartetto iniziale composto dalle violentissime “Swarm Of Terror”, “Our Saviour Sleeps”, “Challenge The Storm” e “Harnessing Ruin” che da solo varrebbe l’acquisto del disco. Il sound è lento, cadenzato, ossessivo con quel sapore sinistro di marciume che solo il death metal americano sa dare senza però disdegnare accelerazioni e brevi momenti dal sapore melodico come in “Dead To Me” nella title-track. I restanti brani del disco si attesta su buoni livelli; molto bella “Dead To Me” dagli arpeggi malinconici alternati a sfuriate death e molto bella anche “Son Of Inquity” che, insieme a “Crown The Liar”, si colloca tra i brani più veloci e feroci dell’intero disco.
Ciò non basta però a nascondere il peggior difetto di “Harnessing Ruin”, ovvero la ripetitività; i brani risdultano troppo simili tra loro creando un effetto-noia davvero poco piacevole…. Che longevità potrebbe avere un disco del genere? Lascio a voi ogni possibile risposta.
Una prova sopra la media di certo, tuttavia è lecito aspettarsi “qualcosa” di più da un gruppo con un’esperienza quasi ventennale.