Non è metal, e non è neppure particolarmente hard, ma il rock degli Intuassenza è sicuramente musica di qualità, e tanto basta per meritare loro uno spazio in evidenza sul nostro sito. Nato nel 2002, con l’arrivo nel 2005 del cantante/chitarrista Davide Rivetta il gruppo pone fine a una serie di cambi di line-up e si assesta finalmente sulla formula del power-trio, soluzione peraltro piuttosto congeniale al tipo di sound proposto. Colpisce subito, infatti, come seppur con una formazione per forza di cose essenziale i tre ragazzi riescano a coprire una gamma sonora particolarmente ampia, ove ogni strumento ricopre un ruolo di primo piano senza per questo sovrapporsi agli altri, completandosi anzi reciprocamente in modo molto organico. Sarebbe immediato attribuire i meriti alla strepitosa produzione (avvicinabile al livello delle migliori uscite commerciali) ottenuta ai Massive Arts Studios di Milano, ma in realtà la spiegazione risiede più a monte, ovvero nella stessa composizione e nell’arrangiamento dei brani. Le tre tracce di “Piano Incrinato” risultano al contempo familiari ma non citazioniste, ricordando per sommi capi ora questo o quel gruppo di successo, ma riuscendo a mantenere sempre una dovuta distanza creativa che le rende fresche e particolarmente godibili. Il nome che può più facilmente tornare alla mente sono gli Afterhours di Manuel Agnelli, sia per certi aspetti prettamente musicali (espressività tramite variazioni di dinamica e volume, chiaroscuri distorto/pulito…) sia per quel gusto lirico un po’ visionario e ricercato ma non privo di ironia (“Vago al Sole”). In altri momenti echeggiano vagamente i Marlene Kuntz più soft o i Luciferme più essenziali, mentre sono sempre più accantonate le strutture irregolari e le divagazioni simil-noise alla Radiohead, in favore di una forma-canzone più diretta e coesa. Una scelta pagante, dal momento che gli Intuassenza riescono ottimamente laddove la maggior parte delle giovani band purtroppo inciampa: riuscire a focalizzare le idee e concentrare le proprie capacità in composizioni varie ma scorrevoli, complete ma immediatamente fruibili. “Sabbia” è l’esempio migliore: un brano molto accattivante, ben arrangiato e piacevole, dalla durata ottimale e costruito su soluzioni tutt’altro che scontate (un esempio su tutti, le parti di batteria); “Attimo Arido” è solo di poco inferiore, più lunga ed articolata, ma non priva di melodia e crescendo particolarmente coinvolgenti. “Vago al Sole” si fa notare per il proprio testo vivace e si sposta su atmosfere leggermente diverse, più “easy” se si vuole, guadagnando qualcosa in impatto ma perdendo altrettanto in fascino, risultando per questo il brano più canonico dei tre, strategicamente collocato nel mezzo. Ho lasciato volutamente per ultimo uno degli aspetti migliori del gruppo, ovvero la splendida voce di Rivetta. Non capita spesso, anzi, capita piuttosto di rado di ascoltare demo con un cantante accettabile, ma in questo caso si supera ogni aspettativa: a metà strada fra il suddetto Agnelli, Pisaneschi e Renga, un timbro caldo e gradevole, la tecnica necessaria e una versatile espressività ne fanno senza dubbio una delle giovani voci italiane più interessanti che abbia sentito negli ultimi anni. Insomma, questo secondo demo degli Intuassenza, se non si fosse capito, è un lavoro che si colloca vistosamente sopra la media, e che mette in mostra una band che sembrerebbe abbastanza matura da poter già aspirare al “grande passo” dell’album, catturando magari l’attenzione di qualche valida etichetta: sarebbe un investimento decisamente interessante.