Da alienante surrogato dei Neurosis più slabbrati, gli Isis si sono trasformati in una creatura viva, pulsante, di bellezza che avvolge e ammanta.
“Oceanic”, il loro parto più pretenzioso ed elaborato, è, prima che un flusso di onde sonore, una vera e propria esperienza che coinvolge tutti i sensi e porta ancora più in profondità il concetto di disintegrazione dell’intrattenimento.
Solo una ricerca intensa ed emotivamente sofferta potrà materializzare la chiave di interpretazione di “Oceanic”, mentre un ascolto superficiale finirebbe col renderlo scialbo e svilito.
Inutile parlare di sludge, doom, post-hardcore, inutile analizzare scientificamente ogni brano, inutile cercare termini di paragone per un gruppo che ha ormai una personalità assolutamente spiccata. Certo, gli Swans e le derive apocalittiche di “Through Silver In Blood” fanno capolino in più di un’occasione, e l’incedere cupo e asettico delle ritmiche ricorda le produzioni più ardite di Steve Albini, ma “Oceanic” è storia a sé, ancorato all’assenza di dogmi o paradigmi, libero ed accecante nel suo scorrere epico.
Riff circolari e drammatici, un apparato percussivo permeato da un afflato plumbeo, una ricerca vocale che è evocazione dei segreti della natura. Brani estesi e sfibranti ma del tutto lineari e geometrici.
Se Robert Wyatt avesse composto “Rock Bottom” imbevuto di Neurosis il risultato non sarebbe stato stato molto dissimile da “Oceanic”.
Esattamente come ammirare sgomenti i ghiacciai che compaiono nell’artwork, sentire gli Isis è trasmigrare nello scorrere delle onde gelide di un mare artico: vibrazioni di ignoto ma anche un senso di ciclicità rassicurante.
Le sfumature progressive e il materializzarsi saltuario di linee vocali angeliche e femminee rendono l’esperienza ancora più totale.
Sarebbe pleonastico descrivere ulteriormente “Oceanic”: è, prima che un disco, un’esperienza, e come tale va vissuta intensamente e poi custodita con gelosia.
Gli Isis hanno dato luce ad una delle più importanti forme d’arte (di qualsiasi genere esse siano) dell’anno ormai trascorso.
Ora sta agli ascoltatori decidere se bearsene o meno. Chi avrà il coraggio di farlo ne uscirà arricchito nello spirito, per gli altri c’è una lista infinita di dischi assolutamente inutili che non aspettano altro che prendere polvere in qualche scaffale.
Vincenzo “Third Eye” Vaccarella