Piccola premessa, quella che state per leggere e’ una recensione di un live dei Kansas, un gruppo leggendario, uno di quelli che hanno il diritto di essere inseriti fra i piu’ importanti di sempre. Evitando di fare qualunque tipo di polemica, spesso e volentieri si leggono voti spropositati dati ad artisti magari pure meritevoli, ma che non hanno neppure lontanamente la valenza e la caratura per essere paragonati a questi (come ad altri). Per questo motivo, dopo aver riflettuto se assegnare o meno un voto al live in questione ho optato per un salomonico “N/G”, non giudicabile numericamente quindi, dato che, a fronte di altri voti che si leggono in giro, a questo lavoro avrei dovuto dare come minimo 20 su 10. A buon intenditore…
I Kansas fanno parte di quella ristretta cerchia di gruppi che meritano di essere ritenuti fondamentali nella musica rock. E’ vero, questo e’ “solo” un live, uno di quei dischi che potrebbero essere considerati dei greatest hits con il pubblico in sottofondo, dico potrebbero perche’ non stiamo parlando del primo gruppetto con i pantaloni scesi a mezza gamba che ogni due parole mette il classico “f*ck” per far vedere che “dialogano” con il pubblico, qui siamo davanti a musicisti di prima grandezza.
Innanzitutto il disco e’ registrato durante il concerto tenuto ad Atlanta il 15 giugno 2002, la data era stata preparata proprio in vista di una registrazione adatta per un CD live e un DVD. Ovviamente l’edizione in esame qui e’ quella in CD, la scaletta pero’ e’ la medesima di quella presente sul DVD, sul secondo CD c’e’ una traccia multimediale con un video e delle immagini. I Kansas si presentano in modo decisamente sfavillante, dopo un breve intro e’ la volta di “Belexes” tratta dal primo capolavoro della band, l’omonimo “Kansas” datato 1974, non mi soffermo sul valore intrinseco del brano ma solo sulla sua immensa capacita’ di suonare attuale dopo quasi trent’anni. La forza dei Kansas e’ proprio questa, l’aver composto ed eseguito, nel corso degli anni, una serie di dischi che, per il periodo in cui sono usciti, rappresentavano un tipo di musica completamente fuori dal tempo.
Divertente il “dualismo” fra “Icarus II”, tratto da “Somewhere to elsewhere” del 2000, e “Icarus”, canzone composta venticinque anni prima, infatti e’ tratta da “Masque” del 1975. Entrambe le canzoni sono eccelse e rappresentano uno dei momenti migliori di Robby Steinhardt e del suo violino. I Kansas sono, forse, l’unico gruppo a potersi fregiare con pieno merito del titolo di hard rock progressive band, senza che i puristi del progressive si scandalizzino, “Song for America” e’ un esempio lampante di questa innata capacita’ del gruppo di confrontarsi con due generi cosi distinti, riuscendo a farne collimare gli aspetti migliori.
Dopo il delicato e breve intermezzo di “Howlin’ at the moon”, si passa al primo estratto da “Leftoverture” (1976), un disco epocale, bellissimo, ovvero “The wall”, stiamo parlando di una canzone in grado di toccare le corde dell’anima, stupenda sotto tutti gli aspetti, dal testo delicato all’assolo stupefacente di un Williams accompagnato dalla musa ispiratrice dei musicisti. Tutto funziona alla perfezione, non potrebbe essere altrimenti del resto, pero’ da queste canzoni traspira ancora la magia e la grandezza che le hanno sempre contraddistinte. Dopo il salto in avanti di “The preacher” (da “In the spirit of things” del 1988) con i suoi cori quasi da musical, si torna al primo disco con la loro prima suite (i Kansas ne faranno molte durante la loro carriera), ovvero “Journey from Mariabronn” celebre per il suo incedere progressivo e per lo splendido lavoro tastieristico di fondo. La versione live si impreziosisce ulteriormente grazie al pathos e alla carica che il gruppo riesce ad infondere alle proprie composizioni che, pur rimanendo tali, assumono un aspetto maggiormente vivo e pulsante, qualora fosse possibile.
Capitolo a parte va dedicato ad una delle canzoni piu’ belle scritte dai Kansas e una delle piu’ belle in assoluto in ambito rock, sto parlado ovviamente di quella perla di incredibila valore che risponde al nome di “Dust in the wind”, e’ umanamente impossibile rimanere indifferenti di fronte ad un siffatto capolavoro. Il brano e’ uno di quelli da cuore in gola, l’arpeggio magico che accompagna il cantato etereo e vibrante, un crescendo magico per uno dei momenti topici di questo grandioso concerto. Ogni volta che ascolto questo brano mi sento in debito con i Kansas, pochi altri sono stati in grado di tradurre in note emozioni cosi’ pure e coinvolgenti come loro con questo brano immortale.
Fortunatamente il live non finisce qui, andare avanti sarebbe difficile con qualunque altro gruppo, i Kansas pero’ riservano piu’ sorprese di quante sarebbe lecito aspettarsi da un gruppo, la successiva “Cheyenne anthem” e’ presa ancora dal mastodontico “Leftoverture”, ascoltatela e imparerete nuove cose sulla musica, quella con la “M” maiuscola, ancora una canzone eccezionale, grandiosa nel suo crescendo e negli stacchi sempre pregni di umori progressivi. Il primo CD si chiude con “Child of innocence” (ancora da “Masque”), stavolta i Kansas mostrano i muscoli, per una delle canzoni piu’ hard del loro repertorio, senza ovviamente rinunciare alle solite divagazioni presenti nei cromosomi di Walsh e soci, permettetemi di segnalare ancora una volta gli interventi solistici di Williams, sempre in grado di tradurre in pura emozione quello che esce dalla sua sei corde, il tutto condito da una tecnica invidiabile ed indiscutibile.
Il secondo CD si apre con “Miracles out of nowhere”, signori questa canzone e’ pura leggenda, anch’essa presa dal masterpiece “Leftoverture”, un intreccio di voci su un tappeto hard, un mood incredibilmente coinvolgente, sinceramente e’ difficile mettere in parole la grandezza di questa canzone, tutto e’ elevato alla massima potenza, l’espressione melodica/compositiva e’ praticamente perfetta, l’esecuzione live regala l’ennesima riprova della grandezza artistica e tecnica del gruppo. Fantastici, basterebbe questa canzone e “Dust in the wind” per regalare a qualsiasi gruppo notorieta’ e stima, ma queste, incredibilmente, sono “solo” delle canzoni dei Kansas, che si permettono di farne tantissime altre sullo stesso livello compositivo ed esecutivo. Ogni volta che comincia un pezzo verrebbe da considerarlo il migliore sentito fino a quel momento, pero’ poi ci si ricorda del precedente e si pensa al successivo, rendendo evidentemente inutile la ricerca di un brano migliore di un altro.
Non c’e’ tempo per riprendersi dallo stupore (sia se conoscete gia’ questi brani, sia se li ascoltate, ahivoi, per la prima volta) che arriva la title track di quell’altro pezzo di storia rock che risponde al nome di “Point of know return” (1978), altro brano hardrockeggiante con un refrain magnetico, bellissimo (si, ancora una volta), il ritornello e’ uno di quelli che, una volta sentito, si stampa in mente e viene naturale da canticchiare o fischiettare nei momenti piu’ disparati. Altro aspetto fondamentale della discografia dei Kansas, il saper dare alle proprie composizioni il dono di essere, allo stesso tempo, avvincenti e semplici da assimilare tanto quanto complesse e caleidoscopiche, non rinunciano mai alla melodia, alla capacita’ di comporre refrain e ritornelli accattivanti, cosi come non rinunciano mai a dare ad ogni canzone una personalita’ fortissima e complessa.
Il successivo passo e’ l’accoppiata “Portrait/Pinnacle”, la prima proveniente ancora una volta da “Point of know return”, mentre la seconda estratta da “Masque”, il tempo ha portato il gruppo a “fondere” quasi queste due distinte entita’ in una sola composizione. A questo punto il concerto sarebbe finito, i Kansas salutano ed escono, ovviamente per poi rientrare per gli acclamati bis, il primo e’ “Fight fire with fire” (tratto da “Drastic measures” del 1983). Si prosegue con il secondo bis, stavolta si tratta dell’unico estratto da “Vinyl confessions” del 1982, un disco splendido e forse meno apprezzato di altri, la canzone in questione e’ spettacolare, risponde al nome di “Play the game tonight”, canzone assolutamente coinvolgente: un martellante lavoro di ritmica fa da base all’incedere della favolosa ugola di un Walsh graffiante come mai, semplicemente straordinario questo brano.
La vera conclusione del secondo CD e’ affidata alla canzone forse piu’ famosa del gruppo, quella “Carry on wayward son” che e’ l’emblema del gruppo stesso, un brano che definire immortale e’ riduttivo, un refrain da urlo, semplice e perfetto in tutto e per tutto. Ovviamente penso che non servano ulteriori parole da parte mia, magari qualcuno si chiedera’ dov’e’ il lato negativo di questo lavoro, beh tolgo subito ogni dubbio, non esiste.
I Kansas si avvicinano alla perfezione oggi forse piu’ di ogni altro gruppo sia storico che moderno, la capcita’ compositiva e’ stato l’elemento cardine della loro storia, e’ logico che sia il materiale piu’ datato quello preso maggiormente in esame, come e’ giusto che sia per un live dai toni celebrativi per dei musicisti che hanno vergato di loro pugno alcune delle pagine piu’ importanti e fondamentali della storia del rock. Questo live va comperato, ascoltato e riascoltato, vi svelera’ da dove molti gruppi osannati oggi hanno preso a piene mani, senza raggiungere assolutamente la perfezione dei maestri, vi narrera’ storie che meritano di essere ascoltate con rispettosa ammirazione, ma anche con gioia e partecipazione emotiva. Questa e’ storia signori, non potete non studiarla a fondo.