Nati dalla mente del chitarrista Peter Scheithauer, i Killing Machine raggiungono il traguardo della seconda produzione in studio con una formazione praticamente all star. Oltre a Peter, di fatti, compaiono in line-up il grande James Rivera (storico frontman degli Helstar prima e dei Seven Witches poi), Juan Garcia (chitarrista degli Agent Steel), Jimmy DeGrasso alla batteria e Dave Ellefson, entrambi ex accasati Megadeth.
Una compagine di assoluto valore, dunque, “assemblata” dal buon Scheithauer per dar ampio sfogo alla sua passione per i Judas Priest ed il metal tradizionale tout court.
Dalla band di Glen Tipton e K.K. Downing, infatti, i Killing Machine carpiscono con vorace attitudine tutti i tratti caratteristici del capolavoro “Painkiller” (aggressività, dinamismo, melodia, tecnica) per plasmare a proprio piacimento questo “Metalmorphosis”. L’operazione, che in se non racchiude assolutamente nulla di originale, si fa tuttavia apprezzare per le qualità di base messe in campo, assolutamente evidenti nell’iniziale (e spudorata) “Killing Machine”, in cui James imita alla perfezione Rob, nella giocosa “Scarred Beyond Black” o in quella “In The Storm” in cui groove a profusione e riff pesanti alternano la propria presenza ad accelerazioni repentine ed accattivanti.
Il tributo che la band paga ai Priest ed a tutta la scena “classica” in generale è, comunque, molto pesante, talmente elevato che dopo pochi ascolti la scaletta di “Metalmorphosis” si ricorda più per i suoi latenti plagi che per meriti effettivamente acquisiti. Dal punto di vista tecnico, inutile ribadirlo, Peter e soci regalano a tutti i fan della scena una prestazione assolutamente encomiabile, ai limiti della perfezione. Una performance che di fatto attesta le qualità strumentali dei nostri ma che non permette ai Killing Machine di muoversi con personalità e disinvoltura lontano dallo spettro dei Priest.