“Insider” è il titolo del secondo album (e si tratta di un concept) per gli italiani “Kingcrow”, band dedita ad un metal di stampo melodicamente classico con richiami a certo hard rock. E l’hard rock in questione è, e lo si può sentire chiaramente fin dall’intro di apertura “Friendship”, quello dei Rush; nel citato pezzo infatti ampio spazio ha lo strumento di Matteo Trinei, con giri di basso che ricordano senza indugi quelli del virtuoso Geddy Lee.
Il trio canadese torna anche alla mente nella strofa di “Never say day”, con un riffing di chitarra fresco e solare che porta ad un refrain dai toni quasi gospel. Ma l’influenza di maggiore impatto sul gruppo è sicuramente quella dei Queensryche del capolavoro “Operation: Mindcrime”, in brani come “The Project” o “Temptation”.
Se le similitudini sono queste, ci troviamo di fronte quindi ad un capolavoro della scena italiana, dunque?
Purtroppo (per i Kingcrow, soprattutto) la risposta è un deciso “No”, ci sono alcuni spunti e idee buoni ma nel complesso il lavoro non mi convince appieno. La produzione, ad esempio, non è certamente delle migliori, suoni ovattati e “distanti” danno un che di amatoriale a tutto il disco
e, nonostante l’ottima perizia tecnica messa in campo dai cinque ragazzi, specialmente batteria e chitarre ne escono a mio avviso fortemente danneggiate.
Ma quello che manca è la melodia assassina, quel pezzo che ti entra in testa e che si fa ricordare, quel riff di chitarra che ti colpisce sin dal primo ascolto, e questo è un serio problema per il genere proposto dai Kingcrow.
Probabilmente quello che più si avvicina a questo ideale di pezzo è il già citato “The Project”, che ha un bel riffing e un buonissimo tiro, ma dall’altro lato della medaglia troviamo pezzi che non decollano mai veramente come “Lies” o “Stardust”, e che non mi convincono del tutto.
Il cantato invece soffre a mio avviso di un altro tipo di difetto: generalmente buono (anche se non eccezionale) per tutti i brani, ogni tanto sale verso picchi alla Geoof Tate con risultati però non altrettanto buoni, rovinando l’atmosfera del pezzo stesso. Ma non pensate che ci siano solo aspetti negativi in questo album, la conclusiva “Finale”, ad esempio è uno strumentale che si fa ascoltare godibilmente e chiude in maniera ottima il disco e il concept stesso, che tratta della vita di due amici di infanzia (Jason ed Alex) e della spirale di eventi in cui si vengono a trovare in seguito al progetto “Insider”.
E, a proposito del concept e dei dialoghi che fanno da collante fra le varie tracce, mi duole dirlo ma consiglierei ai Kingrow di migliorare decisamente la pronuncia, che si rivela essere davvero troppo maccheronica in alcuni punti.
In ogni caso è ammirevole il volere puntare a un metal melodico e classico ma che non viene molto considerato oggigiorno, e gli sprazzi di Rush-sound non possono che far piacere ad un fan di Geddy e soci come me. Promossi, quindi, ma sono certo che possono fare meglio di così.