Negare l’importanza di un gruppbo come i KMFDM sarebbe un po’ come gettare napalm su tutta la scena cyber-industrial degli anni ’90. Se un personaggio come Trent Reznor annovera la band tedesca come una delle sue principali influenze un motivo ci dovrà pur essere.
Raramente un ensemble è riuscito a mescolare in maniera così fluida e personale generi apparentemente inconciliabili quali industrial, metal, dub, hip hop, dance e chi più ne ha più ne (o)metta. Dischi quali “Naive”, “Angst” (a mio avviso il loro capolavoro) o “Nihil” resteranno scolpiti nella storia di questa branca del metal, con il loro spirito di avanguardia e contaminazione, violenza e negazione, sarcasmo e cinico isolazionismo.
Purtroppo il tempo passa per tutti, e dopo “Adios” (1999), un finto album di commiato, i KMFDM sono diventati, senza possibilità di redenzione, pallidi emuli di colleghi americani quali Ministry, Marilyn Manson e gli stessi Nine Inch Nails. Se “MDFMK” e “Attack” erano al massimo mediocri, possedevano un tiro non indifferente ed un filo conduttore che permetteva all’ascoltatore di immergersi ancora tra i labirinti apocalittici di città del futuro in collasso permanente (o nelle gallerie oscure di menti in dissociazione, se preferite), “WWIII” è un prodotto disomogeneo, confuso, che vaga senza una direzione precisa tra elettronica, chitarre distorte, ebm, ritmi marziali, senza mai trovare quel punto di fusione che rendeva irresistibili i dischi da loro partoriti nella passata decade.
Onestamente continuo a preferire i grugniti filtrati di Sasha Konietzko, troppo in secondo piano rispetto alle urla tanto sensuali quanto isteriche e alla lunga fastidiose di Lucia Cifarelli (ex-Drain). Tutto da buttare? Non proprio: l’opener “WWIII” ha una carica dissacratoria non indifferente, “Bullets, Boms & Bigotry” ricorda quanta intelligenza e autoironia sappiano avere questi adorabili tedeschi, con assolo di chitarra e interventi di armonica a profusione, “Intro” (per quanto in certi frangenti ricordi i peggiori remix di Manson) sarebbe perfetta per una discoteca dark. Il resto contiene scintille di talento che non è certo estinto: quello che manca è l’ispirazione (quella vera, che toglie il fiato), lo spirito di innovazione che logicamente si è appannato con l’evolversi dell’industria discografica.
Attenti perciò a non esaltarsi per ogni disco che abbia un nome altisonante stampato in copertina; molto meglio, in questo senso, il ritorno dei Killing Joke, che pur non sfornando un capolavoro (ed essendo distanti anni luce dai KMFDM su ogni frangente), hanno scritto un pugno di pezzi solidi e immarcescibili con il loro album omonimo. Se vogliamo a tutti i costi parlare di una seconda vita per il rock industriale adesso affidiamoci a loro. In alternativa, aspettiamo il ritorno dei NiN, che, a quanto pare, sono tornati in studio…