Dopo due demo a nome Tormentor, tre ragazzi di Essen nel 1985 vengono notati e messi sotto contratto dalla berlinese Noise, etichetta che tanto ha dato al metal, producendo gruppi del calibro di Celtic Frost, Voivod, Coroner, Helloween, Rage – solo per citarne alcuni. Per l’occasione, Mille Petrozza (voce/chitarra), Rob Fioretti (basso) e Jurgen “Ventor” Reil (batteria/voce) decidono di cambiare monicker in Kreator, come tributo ad un antichissimo e terribile demone germanico: “Poichè esistevano un sacco di gruppi che usavano la parola “morte” nei loro nomi, noi volevamo qualcosa di più originale”.
Il gruppo, con una manciata di album, diventa la punta di diamante nella sacra triade del thrash teutonico (insieme a Sodom e Destruction) in un periodo, la seconda metà degli anni ’80, in cui l’estremismo del thrash aveva gettato le basi per altri due sottogeneri che presto acquisteranno vita propria: il death ed il black (Varg Vikernes ricorderà in seguito i primi album dei Kreator e dei Destruction come punti di riferimento assoluti).
“Endless Pain” è il primissimo, devastante album dei Kreator: 10 tracce che non concedono un attimo di respiro all’ascoltatore, con riff veloci e taglienti come una lama e un impatto sonoro senza proporzioni, che stupisce ulteriormente se inquadrato nel periodo storico, in cui una band dall’altra parte dell’oceano, gli Slayer, stava preparando il terreno per il terremoto “Reign In Blood”.
Per quanto sia immaturo e “meno ragionato” degli album successivi (il mio preferito rimane il quarto, “Extreme Aggression”), è innegabile che “Endless Pain” si ponga come un esordio davvero interessante: un treno in corsa, stilisticamente molto omogeneo (il pedale dell’acceleratore viene appena rilasciato solo per qualche momento in un paio di canzoni, ma si realizza subito che si tratta della proverbiale calma prima della tempesta) e ha alcuni pezzi che rimangono nella storia del gruppo (tra cui la splendida “Total death” e “Tormentor”).
E’ un album trascinante che ti riporta a forza indietro di quasi vent’anni, che ancora sembra puzzare di sudore e dei piccoli locali fumosi in cui la band si esibiva in quei periodi, un lavoro in cui la passione e l’entusiasmo dei tre giovani ragazzi di periferia – che molta strada faranno in seguito – è chiaramente percepibile.
Nonostante ciò, e considerando la notevole evoluzione che il gruppo intraprenderà negli anni a venire, sia sul piano puramente musicale che per i testi, mi sento di consigliare “Endless pain” all’ascoltatore che già conosce alcuni album dei Kreator (possibilmente i più rappresentativi) e che quindi riuscirà meglio ad inquadrarlo, apprezzandone gli aspetti positivi, che verranno notevolmente accentuati nei lavori successivi e perdonando le inevitabili pecche di un disco d’esordio.
La voce di Mille è ancora acerba e forse in questo disco è addirittura più interessante quella di Ventor (che canta nelle tracce pari), il cui ruggito soffocato ricorda molto quello di alcuni gruppi black che arriveranno a breve.
Interssante documento storico di un periodo estremamente florido per il metal e il primo vagito di una grande band, di enorme influenza per miriadi di gruppi, che nel corso degli anni non ha perso un briciolo di onestà e passione nel proprio credo musicale.
Fabio “Mordred” Bronzoni