Gli ultimi anni, per quanto riguarda la nostra musica preferita, sono stati caratterizzati da una miriade di reunion di gruppi più o meno famosi, che hanno deciso di far incrociare un’altra volta le loro strade, anche se spiace dirlo, più per soldi che per passione nella maggior parte dei casi. Chiaramente è stupendo vedere all’opera i Judas Priest con Halford o i Maiden con Dickinson, ad esempio, specialmente per coloro che, data la giovane età, non hanno potuto assistere ai concerti incredibili che le suddette band hanno tenuto nelle passate decades. Ma c’è anche purtroppo da dire che alcuni avrebbero potuto far meglio a restare a casa in ciabatte piuttosto che tentare di rinverdire i fasti di un passato che per sfortuna o per forza non potrà mai ritornare.
I Laaz Rockit, storica band thrash metal degli eighties, hanno deciso di riunirsi un paio d’anni fa, culminando il progetto con questo nuovo “Left For Dead”. Rimpatriata riuscita o semplicemente mera operazione commerciale senza mordente? Direi, dopo l’ascolto del promo che ho fra le mani, che ci troviamo a metà strada fra le due opzioni, anche se l’ombra dei tempi andati si fa minacciosa e difficile da nascondere. Il trademark della band di certo è sempre il solito, un power thrash ben suonato, basato quasi esclusivamente su mid tempo rocciosi, figlio di tutto ciò che è stato inventato negli anni 80.
Il problema in questo caso sta nella noia, che sfortunatamente fa capolino più di qualche volta durante l’ascolto, causa una ripetitività di fondo notevole e delle tracks che si assomigliano un po’ tutte fra loro. E sono tra l’altro proprio i mid e up tempos che trascinano l’intera opera verso il basso, perché l’album risulta troppo impacchettato e non scorre via fresco e piacevole come quelli di nuove bands arrivate alla ribalta negli ultimi due o tre anni. Dispiace sempre dover essere critici verso dei combos che la storia un po’ l’hanno creata, anche se nel caso specifico dei Laaz Rockit stiamo pur sempre parlando di underground. Si sente comunque in qualche frangente che i nostri ci sanno ancora fare, ma stupisce nel vedere quando. Cioè, le tre songs che più mi son piaciute sono le due più lente, e la strumentale che chiude il disco. Molto personali e coinvolgenti le prime due, “Ghost In The Mirror” e “Desolate Oasis”, possiedono quello spirito rock che le fa spiccare rispetto alle “colleghe”. Addirittura bellissima la chiusura, con una canzone (chiamata “Outro” ma che alla fine non lo è, vista la durata notevole) interamente giocata su solos e melodie di chitarra guidati da un ritmo incalzante di batteria, molto molto ben strutturata e particolare.
Traendo le conclusioni, quello che si può dire per riassumere i contenuti di “Left For Dead” è che abbiamo a che fare con un disco di assestamento. Si sentono ancora le scorie accumulate durante il periodo di separazione della band, si spera davvero che questo album possa essere un semplice divertissement, o un modo per affilare di nuovo le unghie e prendere confidenza in studio, per arrivare a qualcosa di più positivo al più presto possibile. Da rivedere.