È da dire che chiamarsi “Laruso”, avere una copertina brutta ed uscire per un’etichetta con un nome che è tutto un programma (Copro), non è proprio il massimo come presentazione: tuttavia si sa, le apparenze a volte ingannano, e può capitare che le premesse vengano smentite, al momento dell’ascolto, da una bella sorpresa musicale.
Beh, comunque sia, questo non è il caso dei Laruso.
“Bring it On” è un bluff che regge per poco piu’ di cinque minuti, nei quali si calano già tutte le (poche) carte in mano alla band: l’incedere incalzante e nervoso della concisa e carica title-track, lo sporadico buon riff come quello in apertura della seguente “Same”, la produzione al passo coi tempi e l’utilizzo di diversi registri (urlato, melodico, sussurrato) da parte del tutto sommato discreto cantante Jason Abel.
Tutto il resto è una serie di sbadigli, deja-vu e pedestri scopiazzature: i Laruso cercano di essere pesanti come i Sevendust, melodici come gli Incubus e flessibili come i Lostprophets, ma non ne hanno ovviamente i mezzi e il talento, allestendo così un disco slegato, impersonale e completamente privo di fascino.
Per risollevare le sorti del disco non basta tentare, qua e là, una doppia voce armonizzata alla Alice in Chains (vi lascio immaginare con quali risultati), né cercare di avvicinarne la lucida follia con l’innocua “The End”; cade infine inevitabilmente nel vuoto anche la sfacciatamente commerciale ma ascoltabile “Nothing Left”.
In ogni caso, il picco di inutilità si raggiunge senz’altro con l’acustica “Sorry Now”, un brano assolutamente tremendo che credo nessuno abbia ascoltato oltre al minuto 2:40, pur se (de)meriterebbero il premio anche i maldestri richiami ai Faith No More in “Over Again”.
Insomma, “Bring it On” è un disco che, nonostante lasci intravedere delle capacità, suona posticcio, derivativo, ruffiano ed inconcludente: in una parola, superfluo.