Ho dovuto ragionare molto prima di metter su Heavy-Metal.it questa recensione. Un album che mi ha lasciato interdetto, e mi ha fatto pensare (fatto già di per sè degno di nota se si pensa a quanti album mi lasciano assolutamente indifferente pur essendo magari più piacevoli all’ascolto).
I Liquid Graveyard sono un progetto di John Walker, che i grandi appassionati di death si ricorderanno in quanto colonna dei Cancer, leggendaria band inglese.
Registrato con Carlos Santos negli Studi Sadman di Madrid, e con al mastering Mika Jussila negli studi Finnvox di Helsinki, il nuovo lavoro di questa band è un mix eclettico e ipnotico allo stesso tempo, malato e concreto.
I nostri si gettano in un album che fa della sperimentazione più totale il suo punto di forza maggiore, slegando i vari brani e miscelando con cautela brani doom ad altri più puramente death, lanciandosi quà e là in gorgeggi tipici del progressivee a inserti gothic.
“Rumours Are Black Like Machine Guns” è un inizio death come molti si aspetterebbero leggendo i nomi dei componenti della band, anche se la ferocia iniziale è sferzata da una soave e leggiadra voce femminile, quella di Raquel Walker, che smorza i toni belligeranti.
Iniziamo a sperimentare in modo più deciso dalla successiva “Criministers”, più gothic che altro, che ci porta in un tormentato mondo triste e sconsolato.
Tra gli episodi più particolari del lavoro c’è la title track “On Evil days”, in cui il doom più puro si fonde col death creando trame maligne e malate, turbe psichiche da chitarre distorte, per quello che potrebbe essere l’emblema di questo debutto: un brano dalla tessitura disforme e aggrovigliata ma con un preciso studio anteriore, che lo colloca in quel limbo tra il “difficilissimo da capire ma grandioso” e il “complesso ma troppo particolare per piacere”.
In “Them Greeds” ci si mette addirittura il progressive a complicare ulteriormente le cose, che vengono solo in parte risistemate dalla melodiosa angelica voce del tenore Walker, per quello che potrebbe in fin dei conti essere uno dei top di questo lavoro con i suoi intrecci groowl e clean, man e woman.
In sintesi, un album pieno di sorprese e proprio per questo assolutamente intrigante e, alla fine, anche piacevole. La sensazione personale è che questo voler sperimentare e mescolare troppo abbia a tratti appesantito la composizione, già di per se intricata, andando a rompere quell’alone di tristezza e desolazione che molte song sanno creare attorno a sè.
Le aperture sono benvenute e anche ottimamente ideate e seguite, ma gravando sulla struttura delle song rendono l’ascolto un pò complesso e i brani (i cui testi, peraltro, tradotti si mostrano abbastanza disconnessi e privi di senso compiuto, alòmeno per noi umani) .
In definitiva, certamente ci sarà chi dirà che è un album grandioso e chi lo definirà inutile accozzaglia di mezzi brani fusi insieme. La mia verità sta esattamente nel mezzo: un ottimo lavoro, un buon debutto, con diversi lati ombrosi però, che devono essere illuminati per poter raggiungere vette superiori, ma che non precludono un buon ascolto, e un viaggio nella desolazione piacevole e incontaminato.