Arrivano da una città che il mare non lo vede nemmeno con il cannocchiale, i Los Pirates, band bergamasca nata nel lontano 2001. Arrivano all’importante traguardo del primo album con questo Heavy Piracy, ottimo debutto che segue a ruota il primo demo datato 2003.
Monotematico l’argomento del cd: mare, sapore salmastro, nuovi lidi sconosciuti, abbordaggi, ricchezze, donne e rhum, sulla rotta che ci conduce alla Tortuga! Si parla di pirati, di vita marinaresca scellerata e spensierata, con un occhio di riguardo alla quotidiana razione di rhum.
Il galeone dei cinque bucanieri si muove su onde prettamente NWOBHM, lido sicuro su cui puntare la prua per un debutto assolutamente degno di nota, che riporta alla mente (perdonatemi ma io non li ha dimenticati!) i nostrani Mesmerize, e guardando più in alto Saxon, Rainbow e Candlemass.
La musica è scarna, nel senso che sono ridotti all’osso gli orpelli, le orchestrazioni e i fronzoli, mentre quello che ci viene sparato nelle orecchie dal cannone di poppa durante questo abbordaggio sonoro è uno scarno e direttissimo Heavy Metal, in cui il drumming strappa applausi a tratti per precisione e rapidità, accompagnando una voce nitida e pulita, accompagnata a volte da una lontana seconda voce a mo’ di coro di supporto, mentre chitarre e basso creano assoli e riff diretti e penetranti, per un album che ha come unico tallone d’achille la brevità. Già, perchè trentacinque minuti scivolano via allegramente e velocemente.
Difficile dire quale possa essere il brano che più svetta sugli altri, anche se “My Friend, the Slave” potrebbe essere tranquillamente l’indiziata per ricoprire questo ruolo, vista la variabilità della song, che alterna accelerazioni chitarristiche a un ritornello orecchiabile a due voci e decellerazioni malinconiche. L’esatto opposto della successiva “Pirate’s Island”, che invece pare essere una Street Metal Song, velocecissima e con il cantato a fare da assoluto padrone della scena.
Non lasciatevi trarre in inganno dai nomignoli d’arte attribuiti ai cinque filibustieri bergamaschi che potrebbero farli sembrare gente poco raccomandabile e dalla verve prettamente umoristica e satirica: questi cinque ci danno dentro e lo fanno dannatamente sul serio. Ne risentiremo parlare! Per ora un meritato buon voto, che comprende anche l’art work, splendido, coerente e curato nei minimi dettagli: per mille balene, un disco da sentire al più presto!