Ebbene si, se molti aspettano con ansia l’uscita dei dischi dei grandi nomi, io invece attendevo da tempo l’arrivo in redazione del primo cd dei Lou Quinse, band che ebbi modo di conoscere durante un loro infuocato concerto di spalla ai Folkstone e che da subito mi impressionò per personalità e intrapredenza. E ora posso dire che l’attesa è stata ampiamente ripagata.
In un mondo musicale fatto di stereotipi e poca innovazione, la band Piemontese – Provenzale ha saputo creare un sound feroce e allo stesso tempo orecchiabile, mescolando il folk tipico delle valli montane e cavallo tra Provenza, Piemonte, Valle d’Aosta,con la musica più violenta e intransigente, riformulando in chiave death metal antiche song popolari, che ora riprendono vita sotto l’oscura luce dell’heavy metal più puro, rivestendosi di quella energia che da secoli sprigionano e che sembrava davvero richiedere un tocco personale per tornare a conquistare.
Ammetto di essere da sempre amante del folk Occitano, ma non posso non fare i complimenti a questi ragazzi che hanno saputo unire due musiche così lontane in maniera equilibrata, senza farsi prendere la mano o esagerare, creando un album che conquista, fa venir voglia di ballare, di pogare.
Lou Quinse, in gergo francoprovenzale “Il Quindici” è il numero del Diavolo nei tradizionali tarocchi, ed è stato scelto quale nome della band proprio per rimarcare l’unione di song popolari e tradizionali con quella musica definita appunto “blasfema” e “diabolica” dalle persone che purtroppo proseguono spesso e volentieri a ragionare per luoghi comuni, associando l’heavy metal solo e soltanto a violenza, satanismo e via dicendo. In questo ambiente culturale i nostri sono nati e si sono sviluppati, proponendosi di unire i pezzi tradizionali delle proprie vallate a quella distorta energia che solo la “nostra” musica riesce donare.
Ne esce un mix di basso, chitarre elettriche e batteria e strumenti tradizionali quali ghironda, organetto e flauto, in un album che nei suoi 31 minuti proprio non stufa mai e anzi conquista in crescendo.
Si parte subito forte con “Calant de Villafranca”, aperta da un urlo disumano del buon singer L’ermitage, e da sempre vero… cavallo di battaglia del combo, buono con il suo piglio scanzonato a trascinare nel turbinio del pogo i presenti sotto le assi del palco in sede live. Song tradizionale del paese di Nicard, i nostri la trasformano in un brano velocissimo e elastico, che accellera e rallenta su se stesso. Orecchiabile fin da subito, un pezzo splendido, deciso e concreto.
Più elementi folk appaiono nella successiva “En Passant la Riviere”, in cui il ritmo è segnato dal giro di ghironda che caratterizza ossessionatamente tutto il brano, su cui ancora una volta si erge la voce del singer, variabile e adattata alle singole parti della song, che passa velocemente e apparentemente senza troppe difficoltà da growl oscuro e cupo a screaming indiavolato.
Grandiosa l’idea della titlke track, ovvero l’unione nel medesimo brano di tre canzoni popolari, in un medley convincente e brillante, eseguito con perizia ed attenzione, e riuscitissimo poichè le differenti parti nemmeno si notano, fuse come sono in un unico corpo musicale.
I nostri provano a spingere ancora il piede sull’accellerazione della sperimentazione con “Papa de mi la Bela”, in cui sono inseriti pezzi velocissimi e cori popolari a cappella, per un pezzo che però è forse una delle poche note stonate del lavoro, in quanto la velocità è troppa davvero per la voce del singer che a tratti resta un pelino indietro, senza però compromettere nulla nell’economia di un brano comunque bello e piacevole. Bello e piacevole come l’assolo di chitarra della successiva “La Fenna Louerda” , in cui si torna ai canoni tradizionali del suono Lou Quinse .
Insomma, un ottimo lavoro, che pecca solo per qualche imprecisione a livello di volumi e di accordo strumentale quà e là ma che potrebbe davvero lasciare il segno e che certamente va, insieme a Folkstone, Elvenking, Draugr e altri a rimarcare la personalità di alcune band nostrane, che come in questo caso bene vanno ad infoltire la schiera dell’esercito Folk metal italico, che oggi può davvero vantare un mazzo ricco di carte vincenti anche a livello internazionale.