Terza uscita per gli statunitensi Magnitude Nine (o meglio Magnitude 9) che con “Decoding the soul” proseguono le sonorita’ trovate con la loro seconda uscita “Reality in focus” senza pur trovare infamia ne’ lode.
Dediti ad un progressive metal con variazioni che vanno dall’Hard Rock sin al power metal piu’ scontato, i Manitude 9 affondano le radici delle loro sonorita’ nel metal in puro stile statunitense, con influenze che vanno dai Fates Warning, dei quali vorrebbero forse essere i discendenti, ai Synphony X, con qualche puntatina ai Savatage e sicuramente trovando un riferimento nei virtuosismi di Malmsteen.
Il risultato ottenuto shckerando il tutto, e’ un buon disco heavy metal con qualche venatura Hard e qualcun’altra power, ma sinceramente lontana da quel genere ricercato e complesso come il progressive metal.
“Decoding the soul” tuttavia si lascia abbastanza ascoltare, a cominciare dalla prima “New dimension”, che con i suoi riff cupi, accompagnati da una ritmica relativamente semplice e dalle linee vocali di
Corey Brown praticamente definisce lo stile di questo disco. Si passa a “Lies within the truth” e il
discorso iniziato con “New dimension” continua, le linee vocali seppur azzeccate sono quasi le stesse,
le parti di chitarra non variano di molto e saltando da una traccia all’altra quasi non si ha l’impressione di trovarsi di fronte a due song diverse.
Arriva “Facing the unknown” e la speranza di trovare qualcosa di diverso viene subito delusa, anche qui i Magnitude 9 non si discostano affatto dalle prime due song dell’album componendo quasi un pezzo “con lo stampino”. Con “Walk through the fire” si sente gia’ la componente piu’ melodica della band che prende il sopravvento, il brano si discosta dalle sonorita’ Hard (nelle parti di chitarra) incontrate nei primi 3 pezzi e lascia spazio a riff un po’ piu’ articolati pur sempre coerenti con quello ascoltato in precedenza.
Si e’ quasi in preda alla noia quando parte “Dead in their tracks” che lascia letteralmente spiazzati.
Doppia cassa incessante, riff veloci e super melodici fanno di questa quarta traccia una song praticamente power, tanto che si ha quasi l’impressione di sentire una band teutonica europera piu’ che una band progressive statunitense…
Dopo questo exploit ultra melodico si arriva a “Changes”, e si nota subito un passo indietro da parte dei Magnitude 9 alla ricerca di un equilibrio tra le sonoria’ granitiche dei primi 3-4 brani e la componente melodica. Equilibrio che viene raggiunto con “Torn” e con “Thirty days of night”, due pezzi che finalmente congiungono bene tutte le influenze che questa band statunitenze ha subito, facendo ascoltare un buon heavy metal.
Discorso a parte merita’ invece “Sand of time”, traccia conclusiva di questo disco, in cui si sentono subito atmosfere diverse, quasi da ballad, passaggi piu’ ricercati e azzeccati, e che fondamentalmente potrebbe essere considerata l’unica traccia prog del disco.
In sostanza ci si trova di fronte ad un disco da prendere per i suoi singoli spunti, piacevole nelle 3-4 traccie in cui i Magnitude 9 sanno mostrare la loro capacita’ componitiva, senza ripetersi in maniera eccessiva.