Che il mondo del black negli ultimi anni sia stato scosso da evoluzioni ed influenze esterne e’ ormai un dato di fatto, tanto che si puo’ quasi parlare di una nuova ondata di band che, nate tipicamente black metal, si sono poi evolute in qualcosa di molto diverso. Non so quanto possano fare piacere agli appassionati del genere delle evoluzioni di questo tipo, eppure io, che tendenzialmente non apprezzo il black, spesso sono rimasto molto colpito dai lavori di questo tipo (un esempio su tutti: lo splendido “Perdition City” degli Ulver). I Manes appartengono a questa categoria…
Autori in passato di alcuni lavori (alcuni demo ed un album) che li hanno fatti conoscere nell’ambito underground del black (soprattutto norvegese) si fanno risentire ora, dopo cinque anni di silenzio, con questo “Vilosophe”, cd che praticamente non ha nulla a che spartire con cio’ che erano in passato.
La musica degli attuali Manes e’ infatti un qualcosa di davvero particolare, praticamente suona come un mix tra Katatonia e Radiohead con degli arrangiamenti elettronici che sfociano nella jungle (le varie influenze sono mescolate in maniera diversa a seconda delle tracce)… Provando ad esplicitare meglio la voce e’ sempre pulita e dal timbro molto particolare, le chitarre sono distorte quanto basta, il tutto e’ affogato in una abbondante elettronica e la band non disdegna di inserire qualche elemento piu’ particolare come dei sax. Il tutto suona un po’ strano, vero ? E dovreste vedere la disposizione delle tracce, quanto di piu’ spiazzante si potesse fare…
L’album si apre con “Nodamnbrakes”, che alterna parti decisamente rilassate (che ricordano certa musica alternative elettronica) ad altre in cui le ritmiche si fanno piu’ movimentate (inserti elettronici al limite della jungle e batterista che pesta tutto quello che gli capita sottomano), segue poi “Diving with your hands bound [nearly flying]”, pezzo di durata superiore ai dieci minuti e mezzo. E se vi chiedete cosa accada in tutto questo tempo, beh, praticamente un po’ di tutto ! Inizialmente assistiamo ad un attacco decisamente soft con voce “melodica”, poi dopo qualche minuto il brano si imbizzarrisce e le distorsioni accompagnano la voce che diventa una specie di “Ozzy piu’ svociato”, fino a quando, dopo qualche altro minuto ancora, il pezzo sembra spegnersi, ma rinasce e l’elettronica diventa la protagonista assoluta (non c’e’ piu’ voce, ma solo effetti e loop vari che riprendono i temi sviluppati precedentemente). Un pezzo a dir poco eclettico…
Il successivo “White devil black shroud” e’ un pezzo piu’ delicato, mi ha richiamato alla mente (ovviamente con le debite differenze) i Police, tanto per dire… La successiva “Terminus a quo / terminus ad quem” e’ invece la composizione che piu’ mi ha colpito, inizia quasi cantilenante, per poi movimentarsi e diventare melodica ma energica, alternando parti piu’ acustiche ad altre piu’ ritmate (e anche qua l’elettronica in sottofondo “pompa” un sacco il brano, con le sue ritmiche “spezzettate”).
“Death of the genuine” si apre in maniera atmosferica, ma e’ solo una facciata iniziale, perche’ poi il pezzo esplode e diventa praticamente un pezzo jungle supportato dalle chitarre (rispetto alle altre tracce qua la componente jungle e’ molto piu’ forte !). Subito dopo, tanto per stupire ancora l’ascoltatore, c’e’ “Ende”, un brano molto piu’ rilassato (e rilassante), dalle atmosfere ariose condite con dei sax parecchio evocativi.
Rimane infine l’ultima vera canzone, “The hardest of comedows”, che ormai pero’ non stupisce piu’, visto che il mix musicale e’ gia’ conosciuto (comunque e’ un altro pezzo carino e decisamente melodico in tutta la sua durata, seppur ci siano i soliti elementi “disturbanti”), seguita da “Confluence”, praticamente piu’ di cinque minuti e mezzo di traccia recitata (che personalmente salto sempre) che chiudono il disco.
Come avrete intuito di coraggio i Manes ne hanno davvero tanto, per non parlare delle idee, tuttavia questo non e’ un disco per tutti. Bisogna amare l’elettronica ed essere ben disposti alle contaminazioni piu’ “blasfeme” (buffo utilizzare questo aggettivo nei confronti di una band che faceva del black…) per apprezzare un tale lavoro, tuttavia se si hanno questi requisiti si puo’ provare molto piacere nell’ascolto di un disco di questo tipo ! Insomma, io ai Manes rivolgo un bel pollice alto, ma se siete dei puristi del metal (e del black in particolare) ho l’impressione che il vostro giudizio nei confronti di questi “traditori” sara’ molto diverso dal mio…
Beh, “metallaro avvisato, ecc ecc”, io ora torno a risentirmi le distorsioni elettroniche e acustiche di “Terminus a quo / terminus ad quem”…