Come avrete intuito, una branca del metal nero si sta evolvendo in forme assai strane, difficile da concepire per chiunque vive nei propri stretti confini musicali. Sto parlando di Arcturus, Ulver, Ephel Duath, Thee Maldoror Collective e chi più ne ha più ne metta. Fra questi nomi, ormai tanto famosi quanto amati, vanno ad aggiungersi i norvegesi Manes.
Possibile accostare un gruppo sconosciuto perdipiù autore di un esordio black metal poco entusiasmante ai mostri sacri sopra citati?
Ebbene sì, i Manes hanno tutte le carte in regola per entrare a far parte di quel piccolo gruppetto elitario che corrisponde al nome di avantgarde black metal (anche se qui, di black, non c’è niente se non i tempi che furono).
Il primo ascolto di “Vilosophe” mi ha stupito, il secondo mi ha entusiasmato. La musica proveniente dai solchi di questo disco riesce ad accarezzare lievemente l’aria, riesce a tagliarla di netto creando vortici immensi per poi renderla nuovamente calda e morbida.
Radiohead, Massive Attack, Artcurus (soprattutto per quanto riguarda il cantato) il tutto condito da chitarre qua e là, quasi per riempire e per dare uno spessore, una forma a tutto ciò. Quale forma? Difficile dirlo ma, essenzialmente, si tratta di qualcosa di unico ed emozionante, che difficilmente snobberemo o ignoreremo. E se l’iniziale “Nodamnbrakes” riuscirà a scuotere l’ascoltatore per la sua potenza diretta, la seguente “Diving With Your Hands Bound” risulta essere un vero e proprio trip fatto di suggestioni, atmosfere e melodie pulsanti che prendono vita da una raffinatezza compositiva con pochi eguali.
Parlo di un uso minimale di beats, loops, chitarre, tutto è così perfetto che è difficile da seguire attentamente senza stupore. Un arpeggio psicotico, subito affiancato da un parlato malsano interrompono bruscamente il trip precedente riportandoci, elegantemente, in una nuova dimensione più violenta e malinconica, in cui ogni sofferenza si materializzerà sotto la forma di musica. “Death of The Genuine” è l’ennesimo incubo quasi interamente strumentale che si materializza sotto ritmiche jungle , trip-hop, mescolate ad atmosfere prettamente dark mentre la seguente “Ende” è il brano che più si avvicina alla forma di canzone; possiede una propria linearità, un proprio groove, un proprio ritornello ed addirittura un sax, il tutto assemblato in un’ottica prettamente inerente al contesto dell’album, davvero stupenda!
La mia recensione potrebbe concludersi qui dato che queste poche canzoni descritte varrebbero l’acquisto del disco ma gli elogi, per chi non ha paura di sperimentare, di andare controcorrente, di distaccarsi dal gruppo, non sarebbero mai abbastanza e di sicuro, in questo contesto, resterebbero parole scritte fra milioni e milioni di pagine web. Non abbiate paura, ascoltatelo, fatelo vostro e custoditelo con gelosia, opere del genere sono tanto meravigliose quanto rare.