Ed eccoci all’undicesimo album dei Marduk, alfieri di un black metal svedese che, proprio perchè svedese forse, porta con sé reminiscenze del death metal locale.
Sono un po’ in ritardo con la recensione e nel frattempo ne ho lette di diverse e discordanti.
In parte, hanno ragione quelli che lo definiscono lento e ripetitivo, in parte hanno però anche ragione quelli che lo definiscono gioiello riassuntivo del passato e del futuro dei Marduk.
In effetti Wormwood è lento, in certi brani, ma si tratta di lentezza cadenzata e solenne che ad un’amante del doom come me può solo piacere; in altri invece è infuriato secondo gli stilemi del classic black metal.
“Wormwood” che a sua volta è un sostantivo ricco di significati nascosti. Letteralmente significa Assenzio, o meglio la pianta Artemisia Absinthium, dal gusto amarognolo e aromatico, utilizzata in passato come tonico e anche come antitarma (stranamente in inglese tarma invece si traduce con “woodworm”). L’olio della pianta è volatile e narcotico.
Nella Bibbia lo si ritrova come stella nel libro dell’Apocalisse, 8:10 e 8:11: “Poi sonò il terzo angelo, e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia; e cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle fonti delle acque. Il nome della stella è Assenzio; e la terza parte delle acque divenne assenzio; e molti uomini morirono a cagione di quelle acque, perché erano divenute amare.” Non a caso sulla copertina del disco i Marduk mettono una cornice di testo in latino che scommetto essere proprio la citazione biblica, e al centro la figura di un prete-mostro, il pastore dell’apocalisse….
Altra nota peculiare è che in russo “Wormwood” si tradurrebbe con Chernobyl (se vi interessa approfondire, http://en.wikipedia.org/wiki/Chernobyl e http://www.youtube.com/watch?v=bOQ753HLKak ).
Non è rimasto nessuno dei primi Marduk eccetto Morgan, tuttavia a mio avviso la voce di Mortuus Rosten non fa rimpiangere i predecessori: potente, calda e ben immedesimata nei pezzi, quasi sempre. A parte i gemiti/rigurgiti che qualche volta suonano forzati e ridicoli, non da Marduk ma più da parodia dei Marduk….
Si parte con Nowhere, No-One, Nothing: infuriata forsennata disperata… nerissima.
Per poi approdare alla colossale Funeral Dawn, pezzo ritmicamente riuscitissimo e molto reminiscente dei Rotting Christ, per me il pezzo migliore. Pompa magna, seguita nuovamente da velocità classica in This Fleshly Void.
Arrivano poi i rintocchi delle campane che scandiscono la formula di una terribile maledizione, nell’interludio tutto atmosfera di Unclosing The Curse. Peccato perché avrei sviluppato di più questo tema musicale, che invece rimane soltanto abbozzato, per tornare ad un altro pezzo piuttosto classico e veloce, Into Utter Madness. Qui apprezzabili la parte di chitarra e ancor più di basso, molto efficaci.
Scorrono bene ma senza rimanere impresse le successive cinque canzoni del disco. Si “riparte” però in chiusura, dove As A Garment colpisce con le sue pause sonore e ritmiche potenti.
In generale un album tecnicamente ineccepibile, molto coinvolgente sino a metà, ma non abbastanza abile nel mantenere l’attenzione dell’ascoltatore sino alla fine.
Sicuramente l’ago della bilancia potrebbe spostarsi in bene o in male col prolungarsi degli ascolti. Non saprei se scommettere sulla possibilità che migliori o che rischi di annoiare. Rimango neutrale e lascio il verdetto ai die-hard Marduk fans!