Giunto al quarto album della propria carriera, costellata di numerose uscite minori e di progetti paralleli, il five-piece svedese è chiamato a dare un segnale ai propri non moltissimi, ma incondizionati, estimatori: dopo un esordio ancora acerbo (Contradictions Collapse) e un EP (None) nel quale fecero capolino alcuni tratti che caratterizzarono il loro sound a venire; dopo un secondo album (Destroy Erase Improve) dannatamente perfetto e incessantemente acclamato; e, infine, dopo “Chaosphere”, che ha estasiato alcuni e scontentato parecchi… alla fine di tutto questo, “Nothing” doveva rappresentare una presa di posizione, non solo e non tanto nei confronti del pubblico, ma di se stessi.
Fredrik Thordendal, mastermind del gruppo, e soci, non avrebbero potuto essere più chiari: “Nothing” è composto di 10 brani chirurgicamente distruttivi, animati da una violenza fredda, meditata, incanalata da ritmiche sconvolte ma assai cadenzate, e da vocals graffianti e serrate che si sovrappongono ad esse. Ogni tanto la chitarra solista crea uno squarcio di luce in mezzo a tanta, opprimente caligine, con suoni liquidi e melodie appena abbozzate. “Lo stile Mesh”, dirà chi conosce i nostri. Sì, ma di quale fase? Sarà ormai evidente, anche solo dalle mie parole, che lo stile è monolitico, essenziale nella sua estrema complessità tecnica, senza tendenza alla destrutturazione totale (i brani rimangono, se vogliamo “canzoni”) ma con una precisa volontà di irrobustimento dell’impatto.
In breve, questa è la naturale evoluzione dell’approccio che vede le sue origini su “Chaosphere”, ma che qui appare sclerotizzato, troppo monocorde, senza veri e propri acuti. Lavoro formalmente impeccabile, dalla resa sonora davvero poderosa, ma sostanzialmente povero, a mio parere, in rapporto alle enormi potenzialità dei musicisti, che su “Destroy Erase Improve” avevano impartito una solenne lezione di “interpretazione creativa del suono metal”.
Fermo restando il grande valore assoluto della band, e l’unicità della sua proposta, chi legge queste righe avrà di sicuro inteso che, in qualunque maniera i Meshuggah si siano espressi prima d’ora, forse non è da “Nothing” che conviene partire per conoscere la band. Gli adoratori dei Pazzi, di contro, si saranno senz’altro fatti beffe di qualunque mio commento.