Nel 2001, in quel di Cremona, grazie all’amicizia e alla passione per la musica che lega Daniele Mulatieri e Lorenzo Frati, nascono i Moonchild band heavy metal davvero molto interessante e sicuramente da seguire: dopo la solita gavetta, tra successi e fallimenti, tra critiche e consensi i Moonchild non si lasciano abbattere ma ci propongono questo piccolo e succoso demo composto di cinque canzoni davvero splendide e aggressive. Le influenze musicali dei cinque ragazzi cremonesi vengono alla luce attraverso lo scorrere dei brani presenti sul dischetto: con un riff maideniano che mi ha strappato un sorriso dalle labbra i Moonchild aprono le danze con “Black horsemen” canzone molto veloce e dai riferimenti tipicamente power metal. Il lavoro svolto alle chitarre da parte di Toshiro e Alessandro è molto buono, i due riescono a proporre soluzioni compositive interessanti e varie e riffs dannatamente coinvolgenti e degni d’attenzione. Daniele al basso rende omaggio a Steve Harris con passaggi che ricordano molto da vicino l’istrionico bassista inglese e assieme a Massimo alla batteria riescono a creare il groove necessario che fornisce la giusta aggressività ai brani. Influenze Hanseniane si percepiscono tantissimo nella successiva e title track “Moonchild” dove il riff iniziale così come il resto della canzone sembra uscire direttamente dall’ultimo “No world order” dei Gamma Ray. Il cantato di Stefano è piuttosto singolare e aggressivo, capace di gestirsi abbastanza bene tra acuti e parti più “cattive” senza mai cercare di strafare. Un piccolo omaggio al thrash arriva con le successive songs: “Evil conquest” dove le influenze ai Megadeth fanno capolino dai riffs di chitarra e soprattutto nel ritornello, lento e malvagio dove il basso sembra ricordare a volte alcuni passaggi del biondo Dave dei ‘deth; “Legions of the rising sun” è un chiaro riferimento al thrash più veloce ad aggressivo, con la doppia cassa a manetta e riffs in stile Testament che a mio avviso riusciranno a generare un pogo devastante in sede live; si prosegue col thrash più tirato con la finale “The Stake” dove una strofa incredibilmente violenta si alterna ad un ritornello maggiormente arioso e fresco fino ad arrivare al rallentamento centrale che sembra uscire direttamente da “Seventh son of a seventh son”: un arpeggio oscuro e malinconico di basso fa difatti da tappeto ad un parlato malvagio, mentre le chitarre s’inerpicano attraverso ritmiche semplici ma d’effetto fino ad aspettare l’entrata della doppia cassa che conferisce maggiore impetuosità e pomposità al pezzo nel suo finale. In definitiva mi sento di dare fiducia a questo gruppo: gli elementi che ne fanno parte sembrano essere musicisti preparati e degni d’attenzione; tuttavia, essendo agli inizi i Moonchild hanno bisogno di sviluppare una propria personalità e un proprio stile in quanto dai brani traspaiono un po’ troppo le influenze che caratterizzano i cinque ragazzi. Promossi e continuate così.