Cinque anni abbiamo dovuto aspettare per il ritorno dei Morgion, e devo dire che ne è valsa la pena. Avendo alle spalle un disco fondamentale per il doom come “Solinari” speravamo tutti in un nuovo capolavoro e, devo dire, è pure meglio di come ci si attendeva.
Partendo dalle precedenti basi doom/death, le influenze del quartetto (rinnovato in lineup, dopo varie turbolenze) incarnano nuovi orizzonti fatti di melodie oscure, al limite del progressive, che ricordano vagamente (e in maniera molto doom) gli Anathema, a metà tra The Silent Enigma e Eternity. Ma lasciamo spazio al disco..
Breve introduzione e ad una notevole “A slow succubing” tocca il compito di aprire questo nuovo lavoro. Una melodia allo stesso tempo soave ed oscura ci culla fino a trasformarsi in uno splendido riff doom, dalla pesantezza esagitata, creando il tappeto adatto per i growls, finchè una scrosciante melodia crea l’antitesi alla furia iniziale. Voci pulite, chitarre acustiche, che richiamano alla mente certi Opeth più trasognanti, fino alla chiusura, lasciata ad un pregevole solo.
L’album prosegue con “Ebb Tide – Part I & II”, uno dei 2 pezzi “pachidermici” dell’album con i suoi 13 minuti. Partenza lieve e soffusa, l’eco di un dolce oscur risveglio, che prende coscienza di se, innalzando il muro di suono sull’ascoltatore con una naturalezza disarmante, per poi tornare a ritroso di qualche passo in un break strumentale\solistico che sfuma lentamente in uno scambio con quella che sarebbe la seconda parte del brano, fatta solamente di arpeggi e “atmosfera”, per riprendersi in un finale degno dei migliori (e già citati) Anathema.
Il viaggio continua con la quarta traccia, “Trillium Rune”, che col suo incedere interamente strumentale, ci porta al brano successivo “The Mourner’s Oak” il brano forse più riflessivo del disco, che si contrappone alla seguente “Cairn”, splendida antagonista, quasi un inno al crepuscolo, che nel suo stile prettamente estremo, fa sembrare entrambe come lo stesso splendido brano diviso in due. Mentre l’oscurità dilaga ecco invece che “She, the master covets” porta quasi un raggio di sole, perlomeno per lo stile morbido con cui viene suonata, in un mood quasi positivo, sempre musicalmente, ovviamente.
Ultima traccia la mastodontica “Crowned in earth”, incoronato nella terra dicono.. anche la musica potrebbe esserlo, ricca di sfumature, di chiaroscuri che potrebbero essere l’adatto sottofondo a un viaggio d’esplorazione in mezzo alla natura, a quello che ha da offrirci in tutte le sue forme, così mutevole dal suo incedere melodico al “pestaggio” doom, che spazia in un riassunto-canzone di tutte le influenze di cio che è stato ascoltato in questo album.
Un’ora buona di disco per 8 tracce è un impresa sicuramente non comune per chi non è avvezzo a mangiare pane-e-doom, ma come per ogni opera d’arte, il sacrificio ne vale la pena. Un monumento ad un genere, che non merita solo l’acquisto, ma di essere incorniciato come manifesto.