Nuovo album per i pisani Motus tenebrae.
Per chi non li conosce, a un primo ascolto l’album può risultare un po’ indigesto: non si riscontrano brani capaci di spiccare tra gli altri e in alcuni punti si può rilevare qualche imprecisione stilistica.
Il cantato si mantiene su uno standard abbastanza nella media senza grandi virtuosismi vocali nè eccessive variazioni tonali e le basi, per quanto apprezzabili, non si discostano di molto da un andamento regolare quasi piatto.
Riascoltando l’album una seconda, volta i pezzi assumono una loro “raison d’etre” andando a ricollocare ogni pezzo al suo posto.
Buona la composizione dei brani a livello strumentale e le liriche, le canzoni fluiscono dalle casse cadenzate dalla voce di Luis McFadden che si mantiene abilmente ad un livello consono. Ci si potrebbe auspicare qualche exploit vocale in più, ma possiamo soprassedere. Ogni tanto il singer regala un tocco growl inatteso, capace di inserirsi nell’insieme del brano senza stonare, ma anzi sottolineando i passaggi più enfatici.
Musicalmente i brani vengono eseguiti con buona tecnica e senza sbavature a rovinare il risultato, utilizzando effetti laddove sortiscono risultati graditi e di indubbia rilevanza nel costituire l’atmosfera portante dell’album.
In alcuni passaggi inoltre si può notare un richiamo ai Paradise Lost dei tempi migliori.
Gli assoli di chitarra dimostrano si esser stati ideati con fantasia, passione e ottime intenzioni, denotando le premesse giuste per diventare grandiosi nei prossimi lavori.
Per quanto rimanga la mancanza di cult song, comunque la band dimostra di avere i numeri per creare qualcosa da ricordare e riascoltare in futuro, l’unica cosa che manca per ora è la capacità di osare spingendo le proprie capacità compositive ed esecutive ai limiti.