Per quanto, in ambito grind, attitudine forzatamente demenziale ed ironia sfrontata possano costituire elementi già paleozoici i Muculords, con il loro primo full-lenght ‘Carpe Diem’, riescono con maturità, poca compostezza e forte chiarezza d’intenti a tessere un disco meritevole di rispetto ed attenzione. Centrando in pieno l’obiettivo di strappare qualche sorriso con una colonna sonora retta dalla violenza sonora più oltranzista possibile, la formazione romagnola mostra di avere prerogative ed attributi per pensare in grande.
Farcendo il tutto con una produzione sopra la media del genere, i sei folli in questione tracciano il classico debutto promettente che, pur non aggiuggendo nulla di nuovo sia a livello tematico che musicale, si fa apprezzare per il piatto di groove, organicità e qualità in cui è servito. Ventisei tracce (più deliri) di qualità omogenea e sempre dignitosa. Le composizioni, naturalmente brevi, compatte e tirate al massimo riescono a risultare perfettamente distinguibili tra loro, mantenendo una “firma” sempre cristallina. Gli strumenti, ben equilibrati tra loro nonostante qualche naturale ingenuità a livello ritmico, riescono ad evitare l’irritante sensazione d’impastato spesso ricorrente all’interno di prodotti del genere facilitando il compito di quello che, a parere di chi scrive, risulta il pregio maggiore del disco: l’approccio vocale. I due frontman, nonostante l’idiozia dei monicker, risultano ben affiatati ed alternati tra growl catacombali, un buon inventario di soluzioni estreme e giochi di voce sempre in linea con la proposta.
Tra qualche perla, come le rivisitazioni della “Casatchok” (canzone popolare russa) e della sigla di Magnum P.I., qualche episodio di follia di troppo come l’inutile “Ghost Track”, ‘Carpe Diem’ scorre su binari certamente migliorabili ma sempre dignitosi e sorprendenti per un esordio. Assolutamente consigliato ai cultori del grind che troveranno, al di là di un approccio meno tradizionale, il proprio genere proposto in formula integra ed oltranzista.