Sono passati due anni dall’ultimo attracco della nave infernale. Oggi, il vascello chiamato Naglfar, torna sorretto da Century Media e con un importante elemento in meno. Jens Rydén, il bardo dall’ugola altissima, ha lasciato la band per dedicarsi meglio agli studi e al suo posto è stato scelto Kristoffer “Wrath” Olivius, già bassista del gruppo e membro Setherial e Bewitched. Non lasciatevi ingannare da questi cambiamenti, la musica dei Naglfar non si è allontanata dalla linea seguita in passato, l’unico elemento che appunto differisce è la voce, che seppur nella sua importanza (specie in questo gruppo), non modifica la struttura delle canzoni, che percorrono sempre un’inimitabile stile naglfariano. Ad ascoltare una prestazione vocale così vigorosa poi, anche i più affezionati alla timbriche alte di Rydén, dovrebbero restare entusiasti. Voce a parte, il riferimento più vicino di questo viaggio chiamato Pariah sembra essere il penultimo “Sheol”, nell’importanza che esso affidava a riff sulfurei e veloci, per un suono che mirava all’impatto devastante con l’ascoltatore. Rispetto ad esso quest’ultimo è leggermente più melodico, anche se siamo lontani da quell’abilità di fraseggio che ci aveva incantato nell’irripetibile, o così sembra, “Vittra”.
Maggior uniformità quindi, che per fortuna non comporta un appiattimento dell’album o improvvisi cali di tono. Anzi, l’impressione generale è di un lavoro sempre potente, furioso, padrone nel maneggiare tempi così rapidi che sprigionano ad ogni nota un’energia tanto diabolica da accompagnarci splendidamente in una possibile traversata all’inferno. Traversata che pare soffermarsi in “diversi” gironi dei dannati, perché queste canzoni sono sì malefiche, ma anche particolareggiate al loro interno, grazie a chicche ottenute con le chitarre, che talvolta si ripetono in maniera ossessiva e sottile come nella splendida “The Murder Manifesto” o sviluppano il proprio corso, come nella brutale, ma affilata “None Shall Be Spread” (introdotta da un breve, ma magico giro al pianoforte). Pochi esempi questi due, dell’ottimo black metal svedese di cui i Naglfar restano uno dei baluardi e modelli attuali.
Quindi, note veloci, acide, cattive, gestite con maestria dai condottieri della morte, e una prova ulteriore dello spessore mantenuto dal ’95. Una giusta dose di tradizione “Naglfar”, tanta rabbia espressa e un’impronta demoniaca di fondo, fanno divenire Pariah un altro porto sicuro toccato da questo gruppo.