I Neptune, a scanso di equivoci, sono una band del tutto derivativa. Death melodico sulla scia di In Flames, Dark Tranquillity e cloni vari. Tecnica più che discreta, produzione sufficientemente pulita, alternanze continue tra assalti di scuola At The Gates e breaks acustici ammorbiditi da un cantato pulito (piuttosto acerbo, a dire il vero). Tre pezzi pericolosamente simili, tanto ineccepibili nella forma quanto prevedibili nella loro nascita, vita e morte. Eppure, in “Synthreed”, qualcosa funziona terribilmente bene. Il mood, il magnetismo, il carisma. I Neptune hanno un’aura alla quale non ci si può sottrarre. Il growl mefitico, le ritmiche marziali, gli assoli laceranti. Tutto già sentito un’infinità di volte, ma, nella fattispecie, con un’intensità davvero rara. La violenza e il dolore dei Neptune è tremendamente reale. E’ lo specchio del nostro lato più frustrato e dimesso. Una dicotomia indissolubile. Premio i Neptune perché mi hanno emozionato, perché sono riusciti a farmi paura. Qui di innovazione o sperimentazione non è presente una molecola. Ma le sensazioni abbondano, e la musica dovrebbe esistere per alimentarle.